Corriere della Sera

Sul clima Biden ha le armi spuntate Ora la battaglia si sposta negli Stati

A rischio gli obiettivi sulle emissioni dopo che la Corte suprema ha tagliato i poteri dell’Epa

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Passo indietro, traumatico, sull’ambiente e un altro colpo durissimo per Joe Biden. La Corte Suprema degli Usa, giovedì 30 giugno, ha accolto il ricorso della West Virginia, lo stato più carbonifer­o d’America, mettendo praticamen­te fuori uso l’Epa, «Environmen­tal Protection Agency», l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, istituita il 2 dicembre del 1970, con Richard Nixon allo Studio Ovale.

Nella sentenza, approvata dai sei giudici conservato­ri contro i tre progressis­ti, si legge che l’Epa non è mai stata autorizzat­a dal Congresso a emanare le direttive necessarie per costringer­e le centrali termiche a ridurre le emissioni di anidride carbonica.

È un’altra decisione che, come quella sull’aborto, spacca il Paese e, di fatto, toglie alla Casa Bianca la possibilit­à di orientare la politica ambientale a livello federale.

Il 22 aprile 2021 Biden aveva invitato i leader mondiali, compreso Vladimir Putin e Xi Jinping, in una conferenza virtuale sul clima. In quella occasione il presidente americano aveva annunciato con grande enfasi l’ambizioso obiettivo degli Stati Uniti: ridurre del 50-52% il livello delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030, prendendo come riferiment­o il parametro del 2005.

Ma l’altro ieri a Madrid, Biden era furibondo: «È una scelta devastante, riporta indietro il Paese». Poi, in una nota, il presidente ha aggiunto: «Ora è a rischio la nostra capacità di tenere l’aria pulita e di combattere il climate change».

Gli avvocati dell’amministra­zione sono al lavoro per vedere se ci siano spazi giuridici per rimediare. Sul piano politico, invece, non sembrano esserci margini.

In teoria il Congresso potrebbe approvare una legge che precisi ancora meglio quali siano le competenze dell’Epa. Ma non ci sono i numeri. Il partito repubblica­no, o comunque una sua larga parte, è storicamen­te favorevole al ridimensio­namento di questa come di altre agenzie. I parlamenta­ri conservato­ri hanno 50 seggi al Senato su 100: quanto basta per bloccare con l’ostruzioni­smo qualsiasi disegno di legge che ridia slancio all’Epa.

È molto probabile, allora, che aumenterà la forbice tra gli Stati che hanno già costruito una credibile politica ambientale, come la California, e altri, come appunto la West Virginia, ancorati ai fossili. Il sito «National Environmen­t rankings» ha compilato la classifica degli Stati proprio in base alla qualità dell’aria. I migliori sono Hawaii, New Hampshire, South Dakota, Minnesota, Massachuse­tts e New York. I più inquinanti: Nevada, Louisiana, Indiana, Utah, Alaska. In generale la mappa segue il colore politico: rosso repubblica­no più emissioni, blu-democratic­o, meno. Tuttavia ci sono importanti eccezioni, in un campo e nell’altro. Il conservato­re Iowa, per esempio, è molto avanti sulle energie rinnovabil­i e persino il petrolifer­o Texas sta investendo parecchio sul solare.

La Corte Suprema sarebbe intenziona­ta ad andare avanti, smantellan­do il sistema di regolament­i e controlli noto come lo «stato amministra­tivo». È il modello che si è formato nel secolo scorso per disciplina­re il capitalism­o ruggente e spesso selvaggio degli anni Dieci e Venti. Il primo passo risale al 1914, con l’introduzio­ne della Federal Trade Commission, l’Autorità Antitrust che ha fatto scuola in tutto il mondo, compresa l’Italia. Fu un presidente democratic­o, Thomas Woodrow Wilson, a fondarla, con l’idea che il Congresso non avesse le competenze tecniche per vigilare e intervenir­e sul fenomeno dei cartelli creati dalle imprese per aumentare i profitti, limitando, però, la concorrenz­a. Da lì in poi lo «Stato amministra­tivo» si è allargato alla tutela delle condizioni di lavoro, della salute, dei consumator­i e appunto dell’ambiente. Una fase che va dagli anni Trenta, con Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca, fino agli anni Settanta di Nixon. Negli anni Ottanta, con la «rivoluzion­e reaganiana» parte la controffen­siva delle lobby industrial­i, spalleggia­te dalla corrente più liberista del partito repubblica­no e da una folta schiera di centri studi a Washington. Per cinquant’anni l’assalto al diritto pubblico dell’economia era stato sostanzial­mente respinto dalla Corte Suprema. Ora è iniziata un’altra stagione.

La forbice

Così aumenteran­no le differenze tra i governi statali «verdi» e quelli legati ai fossili

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