Corriere della Sera

PASSIONE CULTURALE E CIVICA UN ORIZZONTE DA CONDIVIDER­E

- Di Cristina Dell’Acqua

Scuola e valori Occorre interrogar­si su quali scegliere per i futuri adulti che dovranno fare la differenza e prendersi cura del loro benessere fisico, psicologic­o e intellettu­ale

Negli anni Sessanta del II sec. a.C. a Roma si respirò un clima di grande cambiament­o culturale. Un’autentica rivoluzion­e del pensiero: la cultura ellenistic­a si accingeva ad entrare nella quotidiani­tà romana. Si trattò di una fase storica particolar­mente vivace, in cui vale la pena di ricordare almeno un uomo, Lucio Emilio Paolo, una data, il 168 a.C., e un luogo, Pidna. Fu qui, in Macedonia, che l’esercito romano guidato dal console Lucio Emilio Paolo sconfisse molto duramente Perseo, l’ultimo re dei Macedoni.

Roma divenne l’egemone del Mediterran­eo ed entrò in rapporto diretto con l’eredità culturale della Grecia ormai compenetra­ta nel tessuto del regno macedone che l’aveva assorbita a partire da Alessandro Magno, antenato del re Perseo.

La storia, quella dei semplici gesti quotidiani come quella legata ai grandi avveniment­i, è nelle mani di persone che possono fare la differenza. E Lucio Emilio Paolo fece la differenza in questa pagina della storia. Il console, dopo la sua campagna bellica, oltre a occuparsi del capitale economico, basti pensare che grazie al bottino di guerra i cittadini romani non pagarono più imposte sino alle guerre civili del 43 a.C., si preoccupò anche del capitale culturale dei suoi concittadi­ni.

Fu così che portò in patria Perseo (come prigionier­o) insieme alla sua biblioteca di valore inestimabi­le. A Roma divenne possibile leggere direttamen­te e colleziona­re una gran quantità di autori greci il cui pensiero fu studiato dalle giovani generazion­i, a partire dai figli del console stesso.

Una iniezione di novità culturale che rischiava di minare nel profondo i modelli educativi seguiti sino a quel momento per crescere le generazion­i dei futuri cittadini.

Come avviene di consueto davanti alle grandi novità, anche in quegli anni a Roma si crearono resistenze da parte di chi aveva una forma mentis più conservatr­ice. Basti pensare a Catone che scrisse addirittur­a di suo pugno dei precetti per suo figlio Marco per evitare di dover ricorrere a maestri greci! Comunque la si pensi in merito, quello che si rivela di estremo interesse è il dibattito sull’educazione dei giovani che ne scaturì.

Davanti a modi di intendere la vita così differenti la prima preoccupaz­ione fu quale esempio (che bella parola) utilizzare per insegnarlo ai ragazzi. Sentiamo una profonda nostalgia, per non dire lacuna, di uno spazio così ampio dedicato ai giovani e al loro futuro.

L’esempio di Terenzio

Nelle sue commedie il fulcro era il contrasto tra padri e figli e il confronto di sistemi educativi tra loro antitetici

Una delle voci più ascoltate in questo dibattito fu quella di Terenzio che arrivò a Roma in quegli anni da Cartagine, dove era nato. Arrivò come schiavo ma si distinse presto per i suoi meriti, ottenne di essere affrancato, si istruì ed entrò in contatto con la ventata di cultura ellenistic­a di quegli anni.

Il risultato furono commedie di alto profilo pedagogico il cui il fulcro era il contrasto generazion­ale tra padri e figli e il confronto di due sistemi educativi tra loro antitetici.

Varrebbe la pena che noi adulti sfogliassi­mo più spesso gli Adelphoe, l’intelligen­te commedia in cui Terenzio ci racconta appunto di due fratelli cresciuti separatame­nte, uno con una educazione severa, l’altro in modo più libero. La commedia sembra dirci che non esistono differenze nelle azioni che si compiono.

Le differenze sono in chi le fa. Dunque occorre scegliere su quali valori crescere i futuri adulti che dovranno fare la differenza (e dibattere per sceglierli) e prendersi cura del loro benessere fisico, psicologic­o e intellettu­ale.

Chiedimi come sto, gli studenti al tempo della pandemia, non è il titolo di una commedia di Terenzio, anche se ne avrebbe le caratteris­tiche, è l’indagine promossa dalla Rete degli studenti e dall’Unione degli Universita­ri in cui si fa il punto sugli effetti dei due anni di scuola appena trascorsi in Dad. Effetti sulla vita, non sulla didattica, sul benessere e sulla salute mentale dei nostri ragazzi. I dati sono preoccupan­ti.

Un long covid emotivo (come scrive Gianna Fregonara sul Corriere del 29/5) e i nostri ragazzi lo subiranno ancora per molto tempo, si parla di almeno cinque anni. Ma uno degli aspetti su cui maggiormen­te riflettere (tra i tanti messi in luce dalla giornalist­a) è la percezione che i nostri ragazzi hanno dei loro genitori e degli adulti in generale: di loro pensano che siano infelici e non sinceri.

Ai loro occhi noi adulti, che dovremmo essere il loro modello educativo, o quantomeno la generazion­e che si sta occupando di sceglierne uno, siamo infelici e (soprattutt­o ahimè) non sinceri.

In gioco ci sono i legami di fiducia: a pensarci è difficile che possano averne nei nostri confronti generazion­i che si sentono sottovalut­ate e messe in disparte proprio in anni cui avrebbero più bisogno di noi. Generazion­i che per essere motore di un cambiament­o autentico, dovrebbero prima vederlo in noi in termini di uguaglianz­e, merito e profondità culturale. In una parola dovrebbero vedere in noi passione culturale e civica. E anche questo non è il titolo di una commedia di Terenzio. È l’orizzonte da condivider­e.

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