Aminata Touré, forza e diversità
«La biografia non sostituisce la politica», dice Aminata Touré, facendo così capire di non volere essere solo un simbolo. Ma un simbolo lo è diventato, in realtà, perché è la prima donna di origine africana ad essere stata nominata, a soli ventinove anni, ministro (Affari sociali, Salute, Gioventù e Famiglia) in un Land tedesco. Siamo nel laboratorio dello Schleswig-Holstein, la regione settentrionale che ha prodotto un governatore cristianodemocratico, Daniel Günther, ben lontano dal conservatorismo del leader Cdu Friedrich Merz. Qui, ai confini con la Danimarca, è maturato inoltre il successo dell’attuale vice cancelliere federale, Robert Habeck, il cervello dei Verdi nella coalizione «semaforo» guidata dal socialdemocratico Olaf Scholz. Tornando ad Aminata, militante del partito di Habeck fin da quando era all’università, poi deputata regionale e quindi vice presidente del Parlamento dello Schleswig-Holstein, la sua scelta di aderire ai Verdi non è legata solo alle tradizionali battaglie per difesa dell’ambiente ma anche a valori come «l’impegno sociale, l’uguaglianza e l’integrazione».
La politica viene prima di tutto, insiste (una politica fatta anche di “disciplina”), ma nel suo caso è impossibile mettere la vita tra parentesi. Nata nel 1992 a Neumünster (dove i suoi genitori erano fuggiti dal Mali dopo il colpo di stato del 1991), ha percorso interamente il tormentato cammino dell’integrazione per i richiedenti asilo, è stata allevata dalla madre, assistente infermieristica, insieme ai suoi tre fratelli, ha avuto la cittadinanza tedesca a dodici anni, si è laureata in scienze politiche e francese a Kiel. «Essere nera — osserva in una intervista a RND — ha certamente svolto un ruolo importante, con esperienze positive e negative».
Oggi, guardando indietro, la neo-ministra degli Affari sociali dello Schleswig-Holstein ricorda quanto gli veniva sempre detto in casa da giovane: «Chi appartiene ad una minoranza deve dare il 200 per cento». Lei lo ha fatto, ma vuole adesso una società «dove non ci sia bisogno di rendere il doppio perché si è in qualche modo differenti» e nella quale tutti abbiano «le stesse opportunità». Il titolo del libro che ha pubblicato
l’anno scorso in Germania è molto chiaro: «Possiamo essere più numerosi: la forza
della diversità».