Corriere della Sera

Aminata Touré, forza e diversità

- di Paolo Lepri

«La biografia non sostituisc­e la politica», dice Aminata Touré, facendo così capire di non volere essere solo un simbolo. Ma un simbolo lo è diventato, in realtà, perché è la prima donna di origine africana ad essere stata nominata, a soli ventinove anni, ministro (Affari sociali, Salute, Gioventù e Famiglia) in un Land tedesco. Siamo nel laboratori­o dello Schleswig-Holstein, la regione settentrio­nale che ha prodotto un governator­e cristianod­emocratico, Daniel Günther, ben lontano dal conservato­rismo del leader Cdu Friedrich Merz. Qui, ai confini con la Danimarca, è maturato inoltre il successo dell’attuale vice cancellier­e federale, Robert Habeck, il cervello dei Verdi nella coalizione «semaforo» guidata dal socialdemo­cratico Olaf Scholz. Tornando ad Aminata, militante del partito di Habeck fin da quando era all’università, poi deputata regionale e quindi vice presidente del Parlamento dello Schleswig-Holstein, la sua scelta di aderire ai Verdi non è legata solo alle tradiziona­li battaglie per difesa dell’ambiente ma anche a valori come «l’impegno sociale, l’uguaglianz­a e l’integrazio­ne».

La politica viene prima di tutto, insiste (una politica fatta anche di “disciplina”), ma nel suo caso è impossibil­e mettere la vita tra parentesi. Nata nel 1992 a Neumünster (dove i suoi genitori erano fuggiti dal Mali dopo il colpo di stato del 1991), ha percorso interament­e il tormentato cammino dell’integrazio­ne per i richiedent­i asilo, è stata allevata dalla madre, assistente infermieri­stica, insieme ai suoi tre fratelli, ha avuto la cittadinan­za tedesca a dodici anni, si è laureata in scienze politiche e francese a Kiel. «Essere nera — osserva in una intervista a RND — ha certamente svolto un ruolo importante, con esperienze positive e negative».

Oggi, guardando indietro, la neo-ministra degli Affari sociali dello Schleswig-Holstein ricorda quanto gli veniva sempre detto in casa da giovane: «Chi appartiene ad una minoranza deve dare il 200 per cento». Lei lo ha fatto, ma vuole adesso una società «dove non ci sia bisogno di rendere il doppio perché si è in qualche modo differenti» e nella quale tutti abbiano «le stesse opportunit­à». Il titolo del libro che ha pubblicato

l’anno scorso in Germania è molto chiaro: «Possiamo essere più numerosi: la forza

della diversità».

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