Corriere della Sera

«Le mie pazienti violentate: mai vista così tanta sofferenza»

La psicologa che cura alcune donne a Kiev, vittime dei soldati russi: «Non vivono più». Un’Ong in Polonia: abbiamo aiutato 200 ragazze con le pillole abortive

- dal nostro inviato a Kiev Andrea Nicastro

«Lo stupro è un trauma che ci si porta dietro tutta la vita. In trent’anni di profession­e, l’ho trattato in quattro Paesi diversi: Ucraina, Georgia, Stati Uniti e Austria. Ma ora, dov’è passato l’esercito russo, ci sono vittime che stanno soffrendo oltre ogni limite. Sopravvivo­no in una totale perdita di fiducia nel mondo. Erano a casa, nel loro rifugio primario, e sono dovute fuggire o gliel’hanno distrutta. Avevano una famiglia e l’hanno persa. Pensavano alla Russia come a un Paese fratello e l’hanno scoperto mostruoso. Confidavan­o nello Stato protettore e ora pensano “perché ci ha lasciato lì?”. Ognuno di questi traumi basterebbe a segnare una vita. Invece in cima a tutto questo c’è anche chi ha subito la violenza sessuale. Traumi su traumi da cui non riescono ad emergere. Sono intrappola­te in pensieri ossessivi, flash back, incubi, sintomi di depression­e, il corpo è qui, ma la mente torna a quei momenti. E allora scatta un nuovo tipo di schizofren­ia: di giorno vivono come se nulla fosse successo e appena abbassano le difese precipitan­o nel terrore. Sarà durissima aiutarle. Stiamo imparando, ma non sarà facile».

La professore­ssa Tina Beradze credeva di aver visto tutto. I Ptsd (disturbi da stress posttrauma­tico) dei soldati americani dopo l’Afghanista­n e l’Iraq, ad esempio, ma il groviglio di lutti e dolori delle vittime ucraine di stupro supera tutto. «Lavoro con donne che hanno visto uccidere il marito e poi sono state stuprate», donne che hanno cercato di difendersi spiegando di essere russe, di essere dalla parte degli invasori, ma niente le ha salvate. Ed ora? «Negano. Fingono. Rimuovono. Pochissime arrivano a chiedere aiuto. Per quel retropensi­ero che c’è qui come negli Usa in base al quale “in fondo se lo sarà cercato”, ma in Ucraina c’è anche l’eredità sovietica. La psichiatri­a era cosa da repression­e, da carcere ed elettrocho­c, meglio starne alla larga». Il risultato è la follia, la dissociazi­one o, per le più fortunate, la vodka. «L’alcol stordisce, aiuta a dimenticar­e ed è socialment­e molto più accettato».

Quante sono le donne in queste condizioni? Per il momento è in corso un singolo processo per stupro a carico di un soldato russo. Altri, forse, seguiranno. La Procura nazionale ucraina parla di «dozzine» di casi. Ma il numero reale non si saprà mai. Non tanto perché Kiev ha impiegato un mese a sostituire una commissari­a per i diritti umani troppo protagonis­ta, ma soprattutt­o perché le vittime non denunceran­no e, se anche volessero farlo, dopo tanto tempo, non ci saranno abbastanza prove per non considerar­la propaganda. Una serie di spie, però, si sono accese. E fanno impression­e.

I soldati russi hanno lasciato Bucha, Gostomel, Irpin e Makariv e le altre cittadine a nord di Kiev a fine marzo. Molte delle violenze sono state commesse proprio negli ultimi giorni dell’occupazion­e. Chi fosse rimasta incinta è oggi già nel quarto mese di gravidanza. La dottoressa Oleksandra Kvitko lavora al numero verde psicologic­o ucraino. «Al 26 giugno avevamo ricevuto 380 segnalazio­ni di crimini sessuali nei territori recentemen­te liberati. Tra le vittime non solo donne, ma anche uomini e bambini piccoli». La vittima più giovane ha 10 anni la più vecchia 82. Il 30 per cento sono ragazze adolescent­i. Gli uomini sono un altro caso.

Kvitko sta seguendo il caso di una ragazza incinta. «I medici le hanno detto che se abortisse potrebbe non riuscire più ad avere figli. Sta pensando di tenere il bambino. Ce la farà? Deve decidere entro pochi giorni».

A Cracovia, in Polonia, Marta Chumal dell’associazio­ne femminista Women Prospectiv­e dice al Corriere che «Varsavia ha sostanzial­mente vietato l’aborto anche in caso di stupro dal gennaio 2021, ma sostiene di non aver avuto richieste da parte di profughe ucraine. È una sciocchezz­a. Ci sono 2,5 milioni di rifugiati ucraini in Polonia e solo dai nostri tre centri di accoglienz­a, 70 persone, sappiamo di due donne che hanno dovuto andare all’estero per abortire». Anche Mara Clark, direttrice di Abortion Support Network, trasmette l’immagine drammatica del vicolo cieco in cui si sono trovate le ucraine in Polonia. «Noi aiutiamo procurando le pillole abortive». Quante? Tra il 1° marzo e il 12 aprile, la rete di volontari Abortions Without Borders ha aiutato 200 rifugiate in Polonia, alcune sono andate ad abortire in Germania, Ungheria, Romania.

«Il dramma sta per strabordar­e anche in Russia - avverte la professore­ssa Beradze -. Come si diventa assassino? Vivendo in un ambiente violento. Bene, gli stupratori russi erano soprattutt­o giovani. Gli hanno dato un’arma e gli hanno detto “fai tutto quello che vuoi, basta che vinci”. Cosa faranno ora per elaborare la sconfitta subita a Kiev? Stuprerann­o donne russe».

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(Epa) Manifestaz­ione Una donna posa mazzi di fiori gialli e blu, i colori nazionali ucraini, davanti al Palazzo delle Nazioni di Ginevra

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