Corriere della Sera

Lo scontro sul manifesto dem: assurde le accuse di liberismo

La sinistra attacca il documento del 2008. Borghi (che era nell’assemblea che lo scrisse): fu un dibattito valoriale

- Giuseppe Alberto Falci

ROMA «Faccio fatica a pensare che un testo firmato da Alfredo Reichlin possa essere classifica­to come liberista» sostiene Enrico Borghi. E quest’ultimo non è solo un alto dirigente del Pd che da qualche ora ha lasciato Base riformista, ma è stato anche uno di quelli che tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 ha redatto il manifesto del Pd, in queste ore finito sotto accusa. Presidente dell’assemblea che ha scritto la carta dei valori era Alfredo Reichlin. Scorrendo l’elenco dei membri si ritrovano fra gli altri i nomi di Anna Finocchiar­o, Franco Bassanini, Ermete Realacci, Gianni Cuperlo, Franco Monaco, Giorgio Tonini, Dorina Bianchi, Paola Binetti e appunto Borghi.

Aveva davvero una matrice «blairiana» quel testo? Per Roberto Speranza «il Pd deve espungere il liberismo al suo interno», mentre Andrea Orlando parla di «ordoliberi­smo». Borghi però rifiuta queste tesi. E prima ancora rifiuta la divisione tra neoliberis­ti e neosociald­emocratici: «Non ho mai incontrato nessun liberista nel Pd. Semmai li ho incontrati a destra, perché nessuno nel Pd crede alla supremazia del mercato sulla persona». All’epoca, ricorda, «si trattò di un dibattito valoriale. Piergiorgi­o Odifreddi, ad esempio, immaginava una piattaform­a molto spinta sui diritti civili». Fu un dibattito conflittua­le? «Il confronto ci fu e fu anche accesso con l’ala più cattolica ma alla fine si arrivò a una sintesi». Ecco un

La prima riunione

Tensione tra i membri del comitato che dovrà elaborare il nuovo testo sui principi

aneddoto: «Un giorno — racconta Borghi — si presentò a sorpresa Giuliano Ferrara, che non faceva parte della commission­e, ma venne comunque accolto da Reichlin. Il fondatore del Foglio portò il tema dell’aborto».

Intanto la prima riunione del comitato costituent­e in vista del congresso sposta le lancette del Pd a sinistra e invoca un cambiament­o radicale della Carta dei valori. Non ci sta Franco Mirabelli, vicepresid­ente dei senatori democrat, anche lui componente dell’assemblea del 2008. «Dopo 14 anni quel manifesto può essere aggiornato. Detto questo, non si possono mettere in discussion­e i valori che lo ispirano. Sarebbe un errore». E insiste Mirabelli: «Quel manifesto metteva a punto l’identità di un partito che nasceva dall’incontro di culture diverse, un partito plurale e pluralista». Il senatore del Pd non vuol sentire parlare di mettere in discussion­e le primarie che ritiene essere «uno dei principi fondativi del Pd». Né tantomeno condivide l’idea di cambiare nome al partito: «A me piace Pd e credo sia un patrimonio».

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