Corriere della Sera

«NON MI SERVE LA RICEVUTA» L’ITALIA CHE VUOL PAGARE CASH

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Caro Aldo,

non ho votato Giorgia Meloni ma ne rispetto coerenza e coraggio, soprattutt­o con gli alleati che si ritrova. Tra le molte cose intelligen­ti e condivisib­ili che ha fatto e detto negli ultimi due mesi, ce n’è una che non riesco a digerire: l’aumento del tetto all’uso del contante «aiuta i poveri». Forse lei riuscirà a spiegarmel­a.

Massimo Maré, Milano

Durante un recente viaggio a Londra ho pagato tutto, dalla metropolit­ana al caffè, con lo smartphone. Non ho usato neppure una volta la carta di pagamento fisica. Quasi tutti i negozi esponevano il cartello «No cash» e perfino i giocolieri a Covent Garden o i musicisti nella metropolit­ana avevano il Pos per le offerte. Di fronte al mio felice stupore iniziale per questi pagamenti digitali, il mio giovane accompagna­tore scuotendo la testa mi ha dato della «boomer». Altro che boomer sono allora i nostri governanti!

Milena Gaudi

Cari lettori,

Uno chef molto bravo e molto noto mi ha raccontato che parecchi clienti chiedono di pagare in contanti — «non mi serve la ricevuta» — in cambio di uno sconto. Devono appartener­e alla categoria dei «poveri» di cui parla il governo, avvantaggi­ati dall’aumento a 5 mila euro dei limiti del contante. A quel punto lo chef è in imbarazzo; e non solo perché gli si propone di essere complice di una frode fiscale. Per un’azienda, almeno in un Paese efficiente e onesto, maneggiare contanti è un problema. Il ristorante ha un proprietar­io dei muri (a volte un ente pubblico), una società che lo gestisce, uno chef che lo cura: di chi sono i contanti? Il ristorante fa fattura ai fornitori, le sue spese sono tracciabil­i; è molto più comodo che siano tracciate anche le entrate.

La signora Gaudi ci ricorda che nel Regno Unito è possibile prendere la metro, comprare il giornale, consumare al bar senza una sterlina in tasca. In effetti ci sono posti in cui le sterline proprio non le accettano. Se volete visitare una mostra alla Tate Britain dovete pagare con la carta. In un bar di provincia ho provato a pagare un caffè in contanti e il barista mi ha detto: «No cash please». L’ho guardato perplesso, lui ha sorriso della mia perplessit­à e mi ha risposto: «Don’t worry, it’s on the house». Stava offrendo il caffè a un signore ormai vecchio, se non di anni, di mentalità.

Ecco cosa siamo: un Paese vecchio. Per la mentalità, non solo per l’anagrafe. Ho sentito in tv cose assurde, tipo che l’imperio del Pos finirà per impedire di fare l’elemosina. Certo, la libertà di pagare in contanti deve essere garantita. Ma non prendiamoc­i in giro, le norme pro-banconote e contro i Pos non sono fatte per i filantropi, e neppure per le coppie di adulti consenzien­ti che legittimam­ente vogliono farsi un week-end senza lasciare traccia. Né sono fatte soltanto per strizzare l’occhio all’elettorato di destra. Sono fatte a servizio di una mentalità antica: lo Stato è nemico; lo Stato non può deporre le armi, ad esempio abbassando le tasse a chi le paga; ma lo Stato può voltarsi dall’altra parte, lasciandot­i intendere che puoi arrabattar­ti come sempre. Abbiamo pubblicato sfoghi di lettori giustament­e indignati per aver pagato centinaia di euro per una multa da poche decine; ma lo Stato non interviene sul meccanismo assurdo di rivalutazi­one; rinuncia a incassare il dovuto, e consente a chi non ha pagato di farla franca. Allo stesso modo, non riusciamo a spendere i fondi europei, che richiedono procedure nel contempo rigorose e snelle, e poi progetti, laureati, tecnici, operai specializz­ati, gente disposta a lavorare o anche solo a essere disturbata dai cantieri. Tutto questo è complicato, e impopolare. Molto più semplice fare come sempre: si arrangi chi può.

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