Mille volte Leo Si toglie lo sfizio di essere decisivo e superare anche... Diego
DOHA Quando il risultato è sul 2-0, e l’Argentina corre finalmente leggera di testa (forse troppo visto che poi si complicherà la vita), Leo riceve palla a metà campo: con due giocate si libera di mezza Australia, prende il volo e, per un istante, ai 40mila dello stadio Ahmad Bin Ali e ai milioni davanti alla tv, balena in mente la stessa cosa: il revival del gol del secolo (2-0 all’Inghilterra, quarti del Mondiale ‘86). È solo l’idea di un attimo, interrotta da quel colosso di Degenek che rovina tutta la poesia, ma è il segno della partita di Messi, la numero mille. È lui che sblocca quando la squadra non ingrana ed è lui che la prende per mano quando soffre nel finale. Due palle per Lautaro (e lo sguardo dopo il gol sbagliato dall’interista dice tutto), un tiro a giro dopo aver inghiottito mezza difesa. «Ci siamo rilassati sul 2-0, eravamo un po’ stanchi, l’importante però è aver passato il turno, sono felice», le mai imperdibili parole della Pulce. Il giornale The West Australia aveva provato mettendo in prima pagina una bambolina voodoo con le sue fattezze, invitando i lettori a pungerlo con gli spilli. Beh, non ha funzionato. Anche se all’inizio sembrava. Dopo 35’ di niente, di passeggiate vuote, una mezza zuffa con Behich, Leo avvia e chiude l’azione decisiva. Vede Mac Allister indietro, che gliela ridà, in mezzo c’è Otamendi che fa una mezza sponda, forse uno stop sbagliato, forse il desiderio di non ritrovarsi tra il líder e la gloria, e Messi — altro che magia nera — sfata la maledizione: primo gol in una partita da dentro o fuori al Mondiale, supera Maradona e va a -1 da Batistuta come reti segnate
in Coppa. Contro la Polonia non era entrato in nessuno dei due gol ma in patria era stata considerata quasi una buona notizia, la dimostrazione che la squadra di ragazzini e peones ha una sua autonomia, lui è la gemma che la impreziosisce, l’ingranaggio che rende più fluida la macchina già funzionante della Scaloneta. Ieri no. Ieri Leo si è tolto lo sfizio di essere decisivo, come quasi mai gli è riuscito con l’Albiceleste, a parte la Copa America. Perché anche se non ha segnato il gol del secolo, vuole essere lui quello che conduce per mano una squadra «normale» sul tetto del mondo.