Cosa cambia nel sistema e chi si oppone alla svolta
Sette giorni dopo l’insediamento alla fine dell’anno scorso il governo di estrema destra ha presentato quella che considera una «riforma» necessaria del sistema: un progetto che punta a ridimensionare il ruolo della Corte Suprema, dei giudici e dei magistrati. Di fatto sottoponendoli alla maggioranza del momento.
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Quale è il sistema attuale?
Israele non ha una costituzione, negli anni sono state approvate dal parlamento tredici «leggi di base» che si ispirano alle indicazioni della Dichiarazione di Indipendenza: si concentrano soprattutto sui rapporti tra i poteri dello Stato, sulla protezione dei diritti civili e delle minoranze. La Corte Suprema ha il potere di bloccare e rinviare alla Knesset una norma che contraddica queste leggi o sulla base della «clausola di ragionevolezza» applicata a decisioni amministrative: i giudici l’hanno applicata un mese fa nel caso di Aryeh Deri, leader del partito Shas, nominato ministro da Netanyahu nonostante avesse patteggiato una condanna per evasione fiscale in cambio della promessa di ritirarsi dalla vita pubblica.
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Perché il governo vuole questa riforma?
La destra — e in parte l’opposizione — è convinta che in questi anni la Corte Suprema abbia abusato dei suoi poteri, intervenendo troppo e in troppe questioni.
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Quali sono gli elementi del disegno di legge?
Il governo vuole introdurre la possibilità di sovrascrivere una decisione della Corte con un voto del parlamento a maggioranza minima (61 su 120 deputati), in questo modo qualunque intervento dei giudici diventerebbe inefficace.
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Chi partecipa alle proteste?
Le manifestazioni vanno avanti da 11 settimane e sono le più grandi nella Storia del Paese. Ormai in strada scendono anche conservatori moderati che hanno votato il Likud di Netanyahu, religiosi. Assieme alla comunità Lgbtq+ (preoccupata dalle frange oltranziste e dichiaratamente omofobe nella coalizione), alle donne, ai movimenti favorevoli a un accordo con i palestinesi.