Corriere della Sera

I generali in allarme e i timori sulla difesa «Adesso i nemici ci vedono deboli»

- D. F.

I lampi lontani ma che già si vedono dalle finestre, le nuvole della tempesta ammassate sopra il tetto di casa. Nemici esterni, crisi interna: «Non abbiamo mai vissuto una situazione come questa», scrive Herzl Halevy, il capo di stato maggiore, in una lettera ai comandanti e ai soldati. «Mi rivolgo a voi: questo è il momento della responsabi­lità. Il luogo per esprimere il dissenso sono le piazze, non le caserme».

Il nome lo ha preso dal nonno, paracaduti­sta come lui, ucciso nella guerra dei Sei giorni. Eppure il conflitto di 56 anni fa sembra preoccupar­e meno il generale delle 11 settimane passate, perché la protesta contro il piano giustizia ha coinvolto anche le forze armate, inevitabil­e in un Paese dove il servizio militare è obbligator­io: se la gente protesta, non può restarne fuori l’«esercito della gente» com’è chiamato qui.

Il rifiuto di presentars­i all’addestrame­nto tra i riservisti — che spesso compongono le unità d’élite e portano la loro esperienza nelle forze speciali — ha spinto Yoav Gallant, il ministro della Difesa, a chiedere pubblicame­nte a Netanyahu di fermare il progetto legislatiD­avid vo. Per giorni aveva cercato di ottenere la convocazio­ne del consiglio di sicurezza per spiegare ai ministri più intransige­nti che le defezioni nei ranghi stanno indebolend­o l’operativit­à di Tsahal. Ci ha perso il posto.

Rimangono i timori strategici degli ufficiali. Uno di loro — presentato come fonte anonima, di sicuro autorizzat­o dai vertici a parlare — ha convocato i giornalist­i israeliani per avvertire che «gli avversari ci vedono deboli, calcolano che le nostre possibilit­à di risposta a un attacco siano limitate». Non significa — come diffonde la propaganda dell’estrema destra — che in caso di guerra questi israeliani si rifiutereb­bero di combattere. I leader delle proteste tra i riservisti ripetono — racconta il quotidiano Haaretz — di aver accettato per anni il servizio nei territori palestines­i anche se alcuni di loro sono contro l’occupazion­e. Alla sinistra pacifista, che contesta questo doppio standard, spiegano: «Prima non sembrava che il governo avesse totalmente perso la rotta».

Netanyahu ha indossato la divisa della Sayeret Matkal e dai veterani della squadra ha ricevuto una lettera aperta, la più personale, forse la più dolorosa. Il commando del raid a Entebbe gli ha ricordato l’eroismo del fratello Yoni, che rimase ucciso nell’operazione per liberare gli ostaggi in Uganda nel 1976. Non ce ne sarebbe stato bisogno, per il premier è il mito fondante del suo impegno in politica. Soprattutt­o gliel’hanno rinfacciat­o: «Yoni è andato incontro alla morte a occhi aperti, consapevol­e, era pronto a mettere a rischio la vita per il Paese. Tu, Bibi, stai facendo il contrario: metti a rischio Israele per i tuoi interessi».

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