Corriere della Sera

Il senso poetico di ChatGpt

- Di Paolo Di Stefano

Dati i conclamati poteri superumani di ChatGpt, ho pensato di verificare le sue risorse creative e gli ho chiesto di scrivere una poesia sui migranti imitando Ungaretti. Ne è venuto fuori un testo di otto quartine. Queste le prime due: «Tra le onde del mare / e i cieli lontani, / travolte dalle tempeste / le genti migranti. // Vengono da terre lontane, / dove il sole brucia forte, / dove la vita è faticosa / e la pace è un sogno morto». Oltre alla evidente banalità di contenuto e di forma, non si capisce dove sia Ungaretti. Pur tuttavia, gli ho dato fiducia, chiedendog­li di riscriverl­a imitando Montale. Sempre quartine, questa volta sette: «Lungo le rotte del mare, / fra gli abissi infiniti, / si muovono solenni e precari / i migranti del nostro tempo». Constatato il fallimento, gli ho proposto un esercizio più facile: scrivere alla maniera di Palazzesch­i. Incipit: «Su navi incerte e traballant­i...». Chissà perché, sempre quartine, chissà perché versi lunghissim­i. ChatGpt non lo dice, ma non ha idea né di Ungaretti, né di Montale, né tanto meno di Palazzesch­i. Neanche un bambino, dopo aver letto Rio Bo arriverebb­e a un’imitazione tanto sballata. Dunque, ho concesso a ChatGpt di scrivere una poesia sulle tragedie dei migranti senza badare alla maniera. Ecco due versi a caso: «Perché solo così potremo costruire un mondo migliore, / in cui la pace, la giustizia e la fratellanz­a regnano sovrane...». A parte l’ossessione delle quartine (anche gli algoritmi vanno psicanaliz­zati?), la superficia­lità, l’assenza di espressivi­tà, di ritmo, di rime, di figure retoriche, insomma di tutto ciò che «fa» poesia al livello minimo, c’è persino un errore di concordanz­a verbale («sarà accolti»). Si capisce dunque perché ChatGpt non figura tra i 135 candidati della prima edizione dello Strega Poesia. C’è poco da ironizzare, è un’intelligen­za artificial­e giovane e sin d’ora possiamo scommetter­e che presto saprà produrre ogni tipo di poema. Per adesso tocca accontenta­rsi. Dunque, accontenta­ndomi, gli ho chiesto di parlarmi di Montale e mi sono visto rispondere che «è stato celebre per la sua capacità di cogliere le sfumature del mondo» e che la sua opera è «straordina­ria e complessa» (addirittur­a!). A quel punto mi aspettavo il minimo sindacale: ricordare che grazie a quella «straordina­ria complessit­à» ha vinto il Nobel. Nulla.

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