Le donne del carcere «Impariamo a prenderci cura»
L’ambulatorio di Lilt Milano per la prima volta entra a Bollate: coinvolte detenute e personale Susanna: «Un modo per sentirci vive e prepararci a quando usciremo. Anche per i nostri figli» Il presidente Alloisio: «Con la prevenzione cerchiamo di abbatter
«Molte donne che entrano in carcere si lasciano andare, stanno stese su quel letto ai lati della cella, si terapizzano credendo di avere bisogno di medicine per stare tranquille. Per noi che le vediamo è brutto. Sono come gatti nella gabbia. L’ho provato anche io: impazzisci, la testa non ti abbandona, continui a pensare tutto il tempo. Ti senti inadeguata, e invece che reagire dicendo “io sono”, o “io esisto”, implodi. Ti convinci di essere indifferente agli altri e di avere davanti del tempo morto solo perché sei costretta tra le mura. Invece no, sei viva. Anzi, siamo tutte vive». Susanna, 53 anni, è una bella donna con i capelli biondi e il sorriso franco: da qualche tempo vive in regime di libertà ristretta, detenuta nel carcere di Bollate. È stata la prima ad aderire al programma di prevenzione promosso dalla sezione milanese della Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, in collaborazione con la Asst Santi Paolo e Carlo e realizzato grazie al contributo di Europ Assistance Italia: non si era mai visto in Lombardia, dentro le mura è entrato per una settimana un ambulatorio mobile di 10 metri con a bordo ecografo e mammografo. Tutte le donne sono state invitate a sfruttare il check up oncologico completo e seguire i seminari informativi, hanno aderito l’80 per cento delle detenute e il 90 per cento del personale penitenziario femminile, percentuali altissime. Del resto a chi ha voglia di pensare al futuro, il carcere di Bollate offre gli strumenti: lavori, iniziative per imparare a sostenere piccole responsabilità. «Fondamentali anche i punti di riferimento fuori dal carcere e in molti casi, come il mio, i figli: curarsi e prevenire malattie è un gesto di rispetto anche verso di loro», prosegue Susanna.
È strano: passi anni ad aspettare la libertà e quando si avvicina il momento di uscire viene paura, «ma se non si smette di investire su se stesse, fuori forse verrà facile», spera. Susanna si è fatta promotrice dell’iniziativa della Lilt insieme al sovrintendente Roberto Capras che con pazienza e sensibilità, grazie alla fiducia conquistata in reparto, ha fatto in modo che si superassero alcune resistenze iniziali. «Avevo un po’ paura – sorride Alexandra, 28 anni, in cella da parecchio tempo e passata attraverso un momento di depressione - di fare questi esami, non sono abituata. A me è cambiato tutto quando sono riuscita a trasformare la rabbia in progettualità. Ho lasciato la scuola al quarto anno, vorrei riprendere. Ho capito che la prima a volermi bene devo essere io». Non è solo prevenzione ma anche sensibilizzazione, fa notare Matteo Stocco, direttore dell’Asst Santi Paolo e Carlo: «Prima dell’emergenza Covid
c’era maggiore mobilità e le detenute prendevano parte ai programmi di screening oncologici regionali, con le complicazioni della pandemia c’è stata una battuta d’arresto ma ora si ricomincia. La finalità rieducativa della pena consiste anche nel promuovere welfare e tutela dei diritti umani e sociali». Se ci sono luoghi dove la prevenzione fa molta fatica ad arrivare - e il carcere è uno di questi «l’ambulatorio mobile ha abbattuto barriere psicologiche importanti», nota Marco Alloisio, presidente di Lilt Milano Monza Brianza. Il direttore di Bollate Giorgio Leggieri auspica che la collaborazione sia duratura: «Può essere un progetto pilota da replicare anche in altri contesti dove si incontrano fragilità umane e sociali. Si lavora sull’inclusione, non a caso abbiamo coinvolto insieme donne che vivono in libertà ristretta, e operatrici o agenti che vivono la loro quotidianità qui dentro esattamente come le altre».
Nella casa circondariale di Bollate sono detenute un centinaio di donne (gli uomini sono 1250): vivono in un unico reparto dove sono impiegate circa trenta agenti di Polizia Penitenziaria. Numeri relativamente piccoli che necessitano però di massima attenzione anche a livello sanitario, raccomanda la Lilt. In Italia le nuove diagnosi di tumore sono passate negli ultimi due anni da 376.600 nel 2020 a 390.700. La prevenzione precoce è cruciale: «Gli anni di reclusione - conclude Alexandra - possono essere “Kayros”, ovvero “tempo opportuno” per imparare nuove cose. Ad esempio, a prendersi cura degli altri e in parallelo, di sé. Adesso mi voglio più bene di prima».
L’istituto
Nel carcere di Bollate ci sono un centinaio di donne; gli uomini sono 1250