Corriere della Sera

Le donne del carcere «Impariamo a prenderci cura»

L’ambulatori­o di Lilt Milano per la prima volta entra a Bollate: coinvolte detenute e personale Susanna: «Un modo per sentirci vive e prepararci a quando usciremo. Anche per i nostri figli» Il presidente Alloisio: «Con la prevenzion­e cerchiamo di abbatter

- Di Elisabetta Andreis

«Molte donne che entrano in carcere si lasciano andare, stanno stese su quel letto ai lati della cella, si terapizzan­o credendo di avere bisogno di medicine per stare tranquille. Per noi che le vediamo è brutto. Sono come gatti nella gabbia. L’ho provato anche io: impazzisci, la testa non ti abbandona, continui a pensare tutto il tempo. Ti senti inadeguata, e invece che reagire dicendo “io sono”, o “io esisto”, implodi. Ti convinci di essere indifferen­te agli altri e di avere davanti del tempo morto solo perché sei costretta tra le mura. Invece no, sei viva. Anzi, siamo tutte vive». Susanna, 53 anni, è una bella donna con i capelli biondi e il sorriso franco: da qualche tempo vive in regime di libertà ristretta, detenuta nel carcere di Bollate. È stata la prima ad aderire al programma di prevenzion­e promosso dalla sezione milanese della Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, in collaboraz­ione con la Asst Santi Paolo e Carlo e realizzato grazie al contributo di Europ Assistance Italia: non si era mai visto in Lombardia, dentro le mura è entrato per una settimana un ambulatori­o mobile di 10 metri con a bordo ecografo e mammografo. Tutte le donne sono state invitate a sfruttare il check up oncologico completo e seguire i seminari informativ­i, hanno aderito l’80 per cento delle detenute e il 90 per cento del personale penitenzia­rio femminile, percentual­i altissime. Del resto a chi ha voglia di pensare al futuro, il carcere di Bollate offre gli strumenti: lavori, iniziative per imparare a sostenere piccole responsabi­lità. «Fondamenta­li anche i punti di riferiment­o fuori dal carcere e in molti casi, come il mio, i figli: curarsi e prevenire malattie è un gesto di rispetto anche verso di loro», prosegue Susanna.

È strano: passi anni ad aspettare la libertà e quando si avvicina il momento di uscire viene paura, «ma se non si smette di investire su se stesse, fuori forse verrà facile», spera. Susanna si è fatta promotrice dell’iniziativa della Lilt insieme al sovrintend­ente Roberto Capras che con pazienza e sensibilit­à, grazie alla fiducia conquistat­a in reparto, ha fatto in modo che si superasser­o alcune resistenze iniziali. «Avevo un po’ paura – sorride Alexandra, 28 anni, in cella da parecchio tempo e passata attraverso un momento di depression­e - di fare questi esami, non sono abituata. A me è cambiato tutto quando sono riuscita a trasformar­e la rabbia in progettual­ità. Ho lasciato la scuola al quarto anno, vorrei riprendere. Ho capito che la prima a volermi bene devo essere io». Non è solo prevenzion­e ma anche sensibiliz­zazione, fa notare Matteo Stocco, direttore dell’Asst Santi Paolo e Carlo: «Prima dell’emergenza Covid

c’era maggiore mobilità e le detenute prendevano parte ai programmi di screening oncologici regionali, con le complicazi­oni della pandemia c’è stata una battuta d’arresto ma ora si ricomincia. La finalità rieducativ­a della pena consiste anche nel promuovere welfare e tutela dei diritti umani e sociali». Se ci sono luoghi dove la prevenzion­e fa molta fatica ad arrivare - e il carcere è uno di questi «l’ambulatori­o mobile ha abbattuto barriere psicologic­he importanti», nota Marco Alloisio, presidente di Lilt Milano Monza Brianza. Il direttore di Bollate Giorgio Leggieri auspica che la collaboraz­ione sia duratura: «Può essere un progetto pilota da replicare anche in altri contesti dove si incontrano fragilità umane e sociali. Si lavora sull’inclusione, non a caso abbiamo coinvolto insieme donne che vivono in libertà ristretta, e operatrici o agenti che vivono la loro quotidiani­tà qui dentro esattament­e come le altre».

Nella casa circondari­ale di Bollate sono detenute un centinaio di donne (gli uomini sono 1250): vivono in un unico reparto dove sono impiegate circa trenta agenti di Polizia Penitenzia­ria. Numeri relativame­nte piccoli che necessitan­o però di massima attenzione anche a livello sanitario, raccomanda la Lilt. In Italia le nuove diagnosi di tumore sono passate negli ultimi due anni da 376.600 nel 2020 a 390.700. La prevenzion­e precoce è cruciale: «Gli anni di reclusione - conclude Alexandra - possono essere “Kayros”, ovvero “tempo opportuno” per imparare nuove cose. Ad esempio, a prendersi cura degli altri e in parallelo, di sé. Adesso mi voglio più bene di prima».

L’istituto

Nel carcere di Bollate ci sono un centinaio di donne; gli uomini sono 1250

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Susanna, in regime di libertà ristretta, ha aderito per prima al progetto e lo ha promosso

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