Israele, si negozia sulla riforma E Netanyahu cala nei sondaggi
Le proteste non si fermano. Giallo sull’invito a Washington per il primo ministro
GERUSALEMME Inviti accettati, inviti sperati, inviti ritardati. Isaac Herzog mette tutti insieme attorno a un tavolo per trovare quel «compromesso» che Benjamin Netanyahu nel discorso alla nazione ha garantito di voler raggiungere. Alla residenza del presidente arrivano nel pomeriggio i capi delle opposizioni e i consiglieri del premier. Restano fuori Yair Levin, il ministro della Giustizia, e Simcha Rotman, il deputato che con lui sta portando avanti a tappe forzate il piano giustizia. Messi da parte, speculano i parlamentari. Sempre al lavoro, sospettano gli israeliani che da tre mesi protestano contro il progetto: Bibi, com’è soprannominato, annuncia il rinvio del processo legislativo fino a maggio — ragionano — mentre i due continuano con le votazioni.
«Non siamo stupidi, i milioni di cittadini che sono scesi in strada fino a oggi non si tireranno indietro», commenta all’agenzia Ap uno dei leader del Movimento per la resistenza contro la dittatura. Il nome mette insieme le centinaia di gruppi su WhatsApp, le magliette rosa della comunità Lgbtq+, le donne in tunica rossa come le Ancelle di Margaret Atwood, i veterani delle forze speciali. Anche Yair Lapid, l’unico avversario ad aver scalzato Netanyahu dal potere in tredici anni, si presenta ai negoziati più scettico di Benny Gantz, l’ex capo di stato maggiore, che con Netanyahu ha già accettato di formare una coalizione di unità nazionale durante la crisi pandemica. I sondaggi pubblicati ieri potrebbero spingerlo a rompere il fronte e a muoversi da solo: Netanyahu perderebbe la maggioranza e il partito di Gantz è quello a guadagnare di più.
I manifestanti per ora non restano a casa ad aspettare di vedere come andrà. «Da gennaio in avanti Netanyahu ha commesso una serie di errori — scrive Anshel Pfeffer, suo biografo non ufficiale ed editorialista di Haaretz — soprattutto non si è reso conto che i dimostranti non erano i soliti «sinistrorsi» come li bolla. Non ha capito che gli imprenditori delle startup, i riservisti dell’esercito, la comunità finanziaria, rappresentano il centro del Paese in grado di portare l’economia e le forze armate alla paralisi».
Gli attivisti annunciano una manifestazione questa sera contro il progetto per la creazione di una Guardia che Itamar Ben Gvir, l’estremista ministro per la Sicurezza Nazionale, ha ottenuto in cambio del suo via libera al congelamento della «riforma». Temono che il leader dei coloni, in passato considerato dai servizi segreti una minaccia a quella sicurezza che ora dovrebbe garantire, costruisca una milizia armata ai suoi ordini diretti, la versione ufficiale delle squadracce che lunedì notte hanno assaltato i manifestanti anti-governo, malmenato una troupe televisiva e picchiato un tassista arabo, in linea con l’ideologia razzista del ministro.
L’invito sperato e a lungo ritardato è quello che Netanyahu conta di ricevere dalla Casa Bianca. L’ambasciatore israeliano lo dà per già stampato sulla carta intestata del presidente Joe Biden, gli americani hanno meno fretta, vogliono prima capire se il rinvio è un reale tentativo di raccogliere consenso attorno alle nuove leggi o una ritirata tattica per recuperare le forze. Per ora smentiscono una visita imminente.