Corriere della Sera

«Complice nell’omicidio del marito» E Haiti manda a giudizio l’ex first lady

Martine Moïse tra i 50 incriminat­i. Ma lei (esule in Florida): «È un atto politico»

- Di Alessandra Muglia

Quella notte, quando un commando fece irruzione nella villa privata del presidente di Haiti Jovenel Moïse crivelland­olo di colpi, sua moglie si sarebbe salvata rifugiando­si sotto il letto matrimonia­le, stando alla ricostruzi­one della donna. Ma da una visita alla dimora adagiata sulle colline della capitale Port-au-Prince, gli inquirenti avrebbero «scoperto che nemmeno un topo gigante, con dimensioni che variano tra i 35 ei 45 centimetri, può accedere sotto il letto». È questa una delle incongruen­ze riportate nel rapporto del giudice haitiano Walther Voltaire che, a tre anni da quell’omicidio eccellente, punta a fare chiarezza sui mandanti della squadra di oltre venti mercenari, per lo più colombiani, autori dell’assassinio e da tempo consegnati alla giustizia: tra le 50 persone rinviate a giudizio, c’è nientemeno che la vedova del presidente, Martine Moïse, accusata di complicità e associazio­ne a delinquere e l’ex premier Claude Joseph. Ma è Léon Charles, che era capo della polizia quando Moïse fu ucciso e ora è rappresent­ante permanente di Haiti presso l’Organizzaz­ione degli Stati Americani, a dover affrontare le accuse più gravi, in primis quella di omicidio.

Nel rapporto viene citato uno dei principali imputati, Joseph Félix Badio, ex funzionari­o di un’unità anticorruz­ione ora in custodia cautelare, che spieghereb­be il movente del piano: la signora Moïse stava complottan­do con altri per assumere la presidenza, sostiene. «Tutti volevano liberarsi di lui per prendere il potere e soddisfare i loro grossolani appetiti, a iniziare da Martine Moïse e Claude Joseph».

Ma l’ex first lady, rimasta ferita nell’attentato, si è subito trasferita in Florida, dove tutt’ora risiede, altro che occupare la poltrona del marito. Da qui ha parlato di «persecuzio­ni politiche» e «arresti ingiusti», invocando la creazione di un tribunale internazio­nale per indagare sulla morte del marito: gli inquirenti hanno mostrato poco interesse a smascherar­e le menti del crimine, ha contrattac­cato. «La signora Moïse è una vittima, proprio come i suoi figli che erano lì, e suo marito», ha chiarito con il New York Times il suo avvocato Paul Turner. La sua cliente, ha reso noto, si nasconde: pochissimi sanno dove vive.

L’altro principale imputato, Joseph, ora alla guida di un partito di opposizion­e, è ancora più esplicito: il principale beneficiar­io della morte del presidente è il suo successore de facto, l’attuale premier Ariel Henry che «usa come arma il sistema giudiziari­o haitiano» per perseguita­re gli oppositori in «un classico colpo di stato». Henry è stato nominato primo ministro al posto di Joseph due giorni prima dell’assassinio. Si era impegnato a tenere le elezioni, ma ha continuato a rinviarle prima per il terremoto, poi per il crescente potere delle bande criminali armate, oltre 200, che controllan­o il 90% della capitale. «Sono pretesti per restare al potere illegalmen­te — attacca Joseph — Il governo di Ariel Henry, criticato, impopolare e illegittim­o, sta provocando una guerra civile ad Haiti», ha chiarito l’ex primo ministro denunciand­o la «regression­e democratic­a» di questo piccolo e poverissim­o Paese caraibico, dove non si va a votare dal 2016.

Il rapporto del giudice Voltaire sembra destinato a destabiliz­zare ulteriorme­nte un Paese dilaniato dalle lotte tra gang e da un’ondata di proteste violente per cacciare Henry, che lo scorso 7 febbraio ha infranto ancora la promessa di indire nuove elezioni.

Un caso separato sull’omicidio di Moïse è in corso a Miami, dove 6 degli 11 imputati si sono dichiarati colpevoli di aver inviato mercenari colombiani per rapire Moïse, un piano che all’ultimo momento è stato trasformat­o in un assassinio. Secondo le accuse americane, i cospirator­i avrebbero cercato di sostituire Moïse con un pastore haitiano-americano, Christian Emmanuel Sanon. Una cosa è certa: malgrado al momento della sua morte la «sua» inchiesta sui narcos fosse solo agli inizi, Moïse doveva essersi fatto molti nemici in questo hub per il traffico di droga tra Sudamerica e Usa.

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Martine Moïse, 49 anni, al funerale del marito Jovenel Moïse, il 23 luglio 2021 a Cap-Haitien, città d’origine del presidente
(Afp) In lutto Martine Moïse, 49 anni, al funerale del marito Jovenel Moïse, il 23 luglio 2021 a Cap-Haitien, città d’origine del presidente

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