Pnrr, speso il 23% delle risorse «Adesso dobbiamo accelerare»
Impiegati 45,6 miliardi. Il ministro Fitto: in realtà i dati sono migliori, ora al lavoro sul decreto
Se la spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza è questa, il ritmo dovrà triplicare perché l’Italia riesca ad avere tutti i 194,4 miliardi disponibili. Secondo la relazione sull’attuazione del Pnrr, presentata ieri dal ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, le varie amministrazioni hanno assorbito 45,6 miliardi di euro rendicontati dalla Ragioneria dello Stato: il 23% del totale, che scende al 22% se si guarda al Piano con le lenti della rimodulazione in cui alcune spese già fatte usciranno e altre da fare entreranno.
Sulla base di questi dati, le amministrazioni adesso hanno due anni e mezzo — fino a metà del 2026 — per spendere i 151 miliardi che restano, a un ritmo medio di sessanta miliardi all’anno. Se questa è la sfida, non sarà facile: il Paese tradizionalmente fatica già a spendere i fondi europei tradizionali, che valgono 44 miliardi nell’arco di sette anni (a cui si aggiungono oltre trenta miliardi di risorse nazionali); sperare ora di assorbirne sessanta all’anno nei prossimi due anni e mezzo rischia di diventare ambizioso. A maggior ragione perché nell’Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) si stima una carenza di maestranze specializzate — geometri, ingegneri — già ora pari alla metà del fabbisogno. Nei prossimi anni è dunque già prevedibile una concorrenza feroce fra amministrazioni e fra imprese per aggiudicarsi in aste al rialzo la capacità produttiva disponibile nel settore costruzioni. Altrettanto prevedibile è poi una pressione crescente delle categorie sul governo perché ampli, rafforzi e semplifichi le procedure di ammissione di manodopera immigrata.
Gli incentivi
Nel biennio 2021-2022, caratterizzato dall’avvio del Pnrr con il governo di Mario Draghi, l’Italia aveva speso e rendicontato 24,4 miliardi di euro. L’anno scorso il dato è stato di ulteriori 21,1 miliardi. In tutta questa prima fase il grosso delle risorse è andato in meccanismi automatici, come i crediti d’imposta del Superbonus immobiliare o di Transizione 5.0 per gli investimenti delle imprese. Solo l’anno scorso queste voci hanno rappresentato il 59% di tutta la spesa, mentre la realizzazione di veri e propri appalti non ha superato i nove miliardi. Ora tutto questo dovrà cambiare anche perché, per esempio, il tiraggio del Superbonus con i fondi del Pnrr è già al tetto di 13,9 miliardi. Serviranno soprattutto realizzazioni amministrative e materiali degli appalti.
In questo, la relazione uscita ieri dalla cabina di offre meno informazioni di quanto appaia: non sappiamo nulla di quanto non è ancora stato assegnato, di quanto è stato assegnato ma non bandito, o bandito ma non aggiudicato, o aggiudicato ma non realizzato, o infine realizzato ma non rendicontato. Difficile dunque dire se la macchina del Pnrr da ora in poi sia in grado di triplicare la sua velocità. Senz’altro il sistema di gestione dei conti e dei progetti del Pnrr è da rafforzare, nella Ragioneria e nella struttura dello stesso Fitto. Ma la carenza di dati davvero aggiornati — sottolineata ieri da Fitto — può nascondere sorprese positive, proprio perché i ritardi di rendicontazione non fanno emergere la spesa davvero realizzata. «Il dato potrebbe risultare in certi casi incompleto — ha detto il ministro — se le amministrazioni non registrano le singole operazioni».
I casi limite
Anche così, alcune situazioni colpiscono. Il ministero del Lavoro presenta un tasso di spesa dello 0,8% del suo budget Pnrr da 7,2 miliardi, con soli 4 milioni su 600 spesi per migliorare i centri per l’impiego e con zero euro (su 66 milioni) per rafforzare i servizi domiciliari e sgravare gli ospedali con dismissioni più rapide o prevenendo i ricoveri. Il dipartimento per il digitale è all’11%, in parte per i ritardi delle imprese nella posa della banda larga. Il ministero della Cultura ha speso zero euro (su venti milioni) per le competenze digitali del personale e ha un tasso di spesa del 3,4% dei suoi 4,2 miliardi.
La sanità
Il ministero della Salute ha speso il 3,7% dei suoi 15,6 miliardi di euro, con un ritardo solo in parte spiegabile con il fatto che solo ora gli appalti per i centri di medicina territoriale entrano in fase realizzativa. Nel rafforzare la ricerca biomedica sono stati spesi appena due milioni su mezzo miliardo; nello sviluppo di competenze tecnico-professionali del personale sanitario, zero euro su 182 milioni; in telemedicina per i pazienti cronici, 58 milioni su 1,5 miliardi. Tutti ritardi difficili da spiegare a una società italiana ormai ansiosa per le liste d’attesa per gli esami più essenziali e il caos dei pronto soccorso.