Nero Valentino «Cerco la luce nel buio che ci circonda»
Collezione all black. Piccioli: per donne di potere
PARIGI Consapevolmente nero. Pierpaolo Piccioli non ci sta a voltare le spalle al buio che sta avvolgendo il mondo, dunque lo sottolinea, ma «cerco sempre la luce», dice poco prima di mandare in scena il suo totalblack-show dalle mille rifrazioni. E la conferma è sotto gli occhi di tutti quando sfilano i montgomery di panno e piume e raffia o i tubini di tulle ricamato o i completi bermuda slim e blazer o la felpa over di anguilla con la gonna a ruota che grazie ai materiali, ai tagli, alle trasparenze sono sempre neri diversi. L’impatto è forte. Ma l’intenzione era proprio quella.
In partenza erano pregiudizi da sfatare, come spesso succede con Piccioli, che si sente da sempre moralmente in dovere di non chiudere gli occhi e usare la moda: «Un tempo il nero era il colore del male, poi con la scoperta della stampa eccolo diventare il manifesto della democrazia e io oggi lo uso per cercare la luce nel buio che ci circonda». E uno. Due: «Negli anni Ottanta le donne di potere indossavano abiti da uomo, mentre quelli femminili, con i loro fiocchi e le loro ruche, li portavano le donne che stavano un passo indietro. Ecco in black io ho voluto ricreare abiti femminili per donne di potere». Consapevolezza e cambiamento, dunque. Sfilano così piccoli vestiti-giacca che hanno grandi rose sui polsi, o l’abito a ruota iper femminile, o la gonna pencil di chiffon tutta una ruche con la camicia da uomo in lana o il picot di paillettes o la pelliccia di lana. Accessori, scarpe e borse, altrettanti autorevoli. Il lavoro non è stato facile, affrontare una collezione in nero significa anche annullare qualsiasi forma e dettaglio e taglio. Ma giocando con i tessuti e i riflessi, Piccioli riesce a non confondere visivamente l’occhio. Il messaggio passa. E sul finire dello show comunica quella sensazione di buio cui lo stilista faceva cenno: «Si stanno facendo troppi passi indietro, nella moda come nella politica o nella musica… pensando che il quiet luxury o i vinili siano rassicuranti. È una deriva pericolosa, un ritorno al senso di borghesia. Non ci sto. Non bisogna dimenticare il passato ma esserne consapevoli».
Demna, indubbiamente, c’è. E non ha nessunissima intenzione di nascondersi. Anzi mai così potente la sua estetica in Balenciaga. Poi nel backstage lo ammetterà anche: «C’è il rispetto per Cristobal e ci sono io con dieci anni di lavoro fatto». Le forme del Dna e la visione del designer che il lusso è creatività senza compromessi. Materiali e riferimenti pop compresi. Così ecco i pezzi con il domopack e con i reggiseni e le canotte una cucita sull’altra ma anche la pelle montata couture o le grandi pellicce peluche che sono magnifiche come quelle che portavano le dive. Felpe e abiti colonna. Stivali calza e scarpe a punta. Borse bisaccia e i bracciali porta iphone. Le t-shirt ebay (gli inviti erano oggetti acquistati diversi per ogni inviato) e i pullover logo. Abiti lingerie e chiodi over. Il bello e il brutto, ancora una volta. Demna conosce il territorio e cammina affrontando il buono e il cattivo gusto arrivando a imporre un’estetica che cerca di dare risposte alle tante domande sul tavolo oggi. Interrogativi che il designer incide nel vocale di invito: «Cos’è il lusso? Cos’è la moda e perché è importante? Per chi faccio quello per cui faccio? La moda è sufficiente?», chiede a raffica. Poi sul lusso risponde: «È per definizione una sorta di scarsità, qualcosa che non è infinitamente disponibile. Ciò che sembra essere veramente raro e finito in questo momento è, in realtà, la creatività stessa. Credo che la creatività sia segretamente diventata una nuova forma di lusso». Da Alexander Mcqueen il debutto di Sean Mcgirr lascia un po’ di dubbi sul nuovo percorso perché non si riconoscono, nello show visto l’altra sera in un cantiere alla periferia di Parigi, i fondamentali del fondatore e di chi, dopo di lui (cioè Sarah Burton) li ha comunque rispettati a cominciare dalla ricerca e l’approfonidmento di volta in volta di un tema. Mcgirr fa un lavoro a grandi linee, esagerando nei virtuosismi di enormi maglie-bustier, di mini abiti carrozzeria, di scarpe zoccolo con la coda di cavallo. I riferimenti al Dna ci sono ma sfuggono. Che sia questo il progetto? È anche vero da Ann Demeulemeester, Stefano Gallici, che non aveva convinto tutti alla prima sfilata, l’altra sera ha fatto ricredere parecchi. Un onesto lavoro sulla moda e il rock: giacche lunghe slim, pelle, tuniche di tulle, trench e i filini che sono la firma del brand. È il guardaroba ideale di Victoria dei Måneskin che (infatti) siede in prima fila. Carven infine, altro, anche Louise Trotter alla sua seconda performance, il filone è quello del lusso discreto, non male, quanto meno romantico.