Corriere della Sera

Quelle notti al Derby

L’omaggio allo storico locale milanese che è stato in attività dal 1959 al 1985 e il ricordo dei comici Sarà presentato a Bari il documentar­io sul cabaret Gli esordi di Boldi, Jannacci, Rossi e Abatantuon­o

- Di Valerio Cappelli

«Far ridere quel pubblico lì è stata una scuola dura ma interessan­te», dice Claudio Bisio. «Quanti vaffa mi sono preso non avete nemmeno l’idea», racconta Massimo Boldi nel bel documentar­io di Marco Spagnoli C’era una volta il Derby Club, atteso il 20 al Bif&st di Bari.

È la storia del locale di Milano in via Monterosa, la Scala del cabaret. Da lì, per 26 anni, dal 1959 al 1985, sono passati tutti. Una certa comicità del Nord, quel modo un po’ cinico di ridere sulla follia, quella poesia che nasce dalla tristezza. «Tutto nasce su quel palco», dice Elio (delle Storie Tese) voce narrante del filmato. Per un tuffo nella comicità surreale, rivolgersi a Cochi e Renato che, in giacca e cravatta, la chitarra al collo, dicevano: «Il mare l’abbiamo avuto anche noi a Milano, via Torino tutto uno scoglio. Poi è rimasto l’idroscalo che c’è ancora la gente abbronzata adesso».

Un pubblico trasversal­e. Industrial­i e impiegati in cerca d’avventure, papponi annoiati, commessi viaggiator­i, intellettu­ali. Avvistati negli anni Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Gianni Agnelli, Lina Wertmuller, Bettino Craxi cliente fisso. Ma anche malavitosi come Francis Turatello e Renato Vallanzasc­a che scappò dalla polizia da una finestra del Derby. Il «caso» Tortora entrò quando il re delle calunnie Gianni Melluso disse che il presentato­re tv in quel piccolo locale smerciava droga.

La musica (da Gaber in giù) era centrale. Enzo Jannacci cominciò con l’urlo del cojote. Era il segnale che nella città delle industrie e della plastica, della nebbia e dello smog, dei palazzoni delle periferie dove la gente andava ad abitare in cerca di lavoro e di danee, i soldi, era iniziato qualcosa di nuovo. Il locale era stato ricavato dalla cantina del ristorante di famiglia di Giovanni Bongiovann­i, detto «Il Bongio». Andava in giro con una vestaglia e un drago stampato sulle spalle. Lo chiamò Il Derby perché non era lontano dall’ippodromo. Non c’era ancora uno spazio di quel tipo, e non c’è più nemmeno quel mondo. Apriva alle 11 di sera e si faceva l’alba.

Gino e Michele parlano di comicità letteraria, gergale, fuori dagli schemi ma attaccata alla tradizione; trasgressi­one e critica del conformism­o che nel grigiore ipocrita del politicall­y correct non si finiscono di rimpianger­e. Si pescava al confine tra il legale e «l’oscuro», i comici, amici e rivali, rubavano battute perfide ai criminali che andavano al Derby per darsi arie.

A esibirsi c’era anche il figlio della guardarobi­era (e nipote dei proprietar­i) Diego Abatantuon­o, che con Teo Teocoli è l’unico a non lasciare un ricordo. La tv, da Canzonissi­ma alle reti di Berlusconi, saccheggiò i comici nordici; inventaron­o un mondo sotterrane­o sotto lo studio del varietà della Rai, da cui Massimo Boldi creò il tormentone «Ciao bella gioia». Raffaella Carrà non capiva il suo umorismo e cercò di farlo fuori; anche Cochi e Renato erano tenuti d’occhio, infatti alla Rai avevano un contratto settimanal­e.

Negli anni al Derby si avvicendar­ono Villaggio, I Gatti di vicolo Miracoli, Faletti, Beruschi,

Aldo e Giovanni ancora senza Giacomo, personaggi come Walter Valdi, di giorno avvocato e sul palco con le sue storie stralunate. Paolo Rossi: «Per sopravvive­re dovevi adattarti al pubblico; lui entrò dopo il successo di Teocoli e Boldi su Cipollino, «e 400 persone in sala si alzarono e se ne andarono. Passato quello, dopo, cosa vuoi che ti succeda di brutto?».

Così Paolo Rossi improvvisa­va da quello che gli succedeva nella vita; una volta un poliziotto dopo averlo fermato a un posto di blocco gli chiese la patente e vedendo nome e cognome, pensando al goleador, gli disse: ma sei il fratello di…

Era la Milano da bere e da sniffare; per la polvere bianca dovette chiudere i battenti. Il locale chiuse con una retata della polizia. Come la scena di un film. Era finita un’epoca.

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Teo Teocoli, Gianni Magni, Diego Abatantuon­o, Walter Waldi, Umberto Bindi, Cochi Ponzoni, Massimo Boldi, Carlino (Pattuglia Azzurra), Felice Andreasi, Renato Pozzetto, Giulio Montecucco e Diego Peano. Accosciati da sinistra: Armando «Ossario» Celso, Tony Santagata, Rudy Magnaghi, Fabio Boldi e il «Bistecca»
Foto di gruppo Uno scatto al Derby: in piedi da sinistra Enzo Jannacci, Teo Teocoli, Gianni Magni, Diego Abatantuon­o, Walter Waldi, Umberto Bindi, Cochi Ponzoni, Massimo Boldi, Carlino (Pattuglia Azzurra), Felice Andreasi, Renato Pozzetto, Giulio Montecucco e Diego Peano. Accosciati da sinistra: Armando «Ossario» Celso, Tony Santagata, Rudy Magnaghi, Fabio Boldi e il «Bistecca»
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Da sinistra: Giacomo Poretti, Giovanni Storti, Aldo Baglio
Trio Da sinistra: Giacomo Poretti, Giovanni Storti, Aldo Baglio
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Massimo Boldi (78 anni) nel documentar­io
Volto Massimo Boldi (78 anni) nel documentar­io

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