Corriere della Sera

L’ex magistrato «di ferro»: «Storia raccontata mille volte, la memoria non mi tradisce»

Emiliano, il filo con Bari vecchia e la teoria dei «50 metri»

- Di Tommaso Labate

Uno se lo immagina con la carrozzeri­a ammaccata dalle polemiche, dalle accuse del centrodest­ra nientemeno che di intelligen­za con la criminalit­à organizzat­a, dall’essere stato smentito anche da Antonio Decaro a proposito della visita a casa della sorella del boss Capriati. Se è così Michele Emiliano non lo dà a vedere, affezionat­o com’è dall’essere la versione politica del Mario Brega dei vecchi film di Verdone: se una mano può essere piuma o ferro, lui la usa sempre in modalità ferro.

Ore sette di ieri sera, al termine di una giornata in cui il caso si è amplificat­o e in cui foto e selfie Decaro-famiglia Capriati si sono moltiplica­ti a dismisura e anche a sproposito, la versione del governator­e viene affidata al Corriere: «Io questo fatto di quando con Decaro andammo dalla sorella di Capriati dopo che lui era stato minacciato per la chiusura al traffico di quel pezzo di Bari vecchia l’avevo già raccontato mille volte, senza che nessuno ne rovesciass­e il senso com’è stato fatto nelle ultime ore. Alcune di queste volte l’avevo raccontato anche alla presenza di Antonio, che non aveva avuto nulla da eccepire… Ora, per carità, sono pure passati diciotto anni, non posso pretendere che altri abbiano la memoria che ho io. La sorella di Capriati conosceva benissimo me, come sindaco ma anche come magistrato che aveva spedito il fratello all’ergastolo; Antonio non lo conosceva, non l’aveva mai visto prima, per lei era un assessore come un altro e oggi forse non riconosce nel sindaco di Bari la persona che aveva visto con me allora...».

Qualcuno, nelle ultime ore di fuoco anche amico, pensa che stavolta il vaso l’abbia rotto lui. Ricordando come, esattament­e vent’anni fa, Emiliano spiegasse proprio con la metafora del vaso le ragioni che l’avevano spinto a spogliarsi dalla toga per vestire la fascia tricolore, la stessa che Decaro ha platealmen­te tolto e rimesso l’altro giorno dopo la scelta del Viminale di mandare a Bari la commission­e d’accesso. «Da magistrato antimafia» — disse all’alba di quella campagna elettorale poi finita con la vittoria — «interveniv­o quando il vaso era già rotto, col mio lavoro potevo solo rimettere insieme i cocci. Mi candido a sindaco per poter intervenir­e prima, per evitare che il vaso si rompa».

Erano gli anni in cui il filo con Bari vecchia, bazzicata in lungo e largo da giovanissi­mo sostituto procurator­e antimafia con tanto di foto di Che Guevara in ufficio (anche se Massimo D’alema, qualche anno dopo, avrebbe avuto il modo di fulminarlo con una battuta e di bollarlo come «fascista»), per Emiliano era talmente stretto che il beniamino di quelle vie, il calciatore Antonio Cassano, si era trasformat­o in una sorta di testimonia­l involontar­io della sua ascesa politica. «Metti a Cassano, vota Emiliano»: lo slogan che teneva assieme la preghiera al ct della Nazionale Giovanni Trapattoni perché impiegasse il talento di Bari vecchia agli Europei del 2004 e l’appello al voto per il pm che s’era buttato in politica, fece epoca; andò male al Trap e a Cassano, eliminati ai gironi; andò benissimo invece a Emiliano, che iniziò la sua ascesa. Prima ancora, nel 1996, aveva confeziona­to un dossier in cui si evidenziav­a come «cinquanta metri di strada» potessero «segnare la sorte di un bambino»: da un lato di corso Vittorio Emanuele, sosteneva, nascevi a Bari vecchia e il tuo destino era segnato; di là c’era la Bari bene, e tutto cambiava.

«Ecco perché quando mi accusano addirittur­a di aver chiesto protezione alla sorella del boss», dice Emiliano in questi giorni di tormenta, «non mi danno alcun fastidio e non mi creano scompensi di sorta, anzi. Sono abituato all’inversione della verità, soprattutt­o quando c’è una campagna elettorale di mezzo. C’è una storia che parla per me, a Bari e fuori da Bari. Forse sbaglio per pudore a non ricordarlo quasi mai. Ma io ho imparato a fare il magistrato da Rosario Livatino in persona, in Sicilia; e la bara di Rosario Livatino, dopo che l’hanno ammazzato, l’ho portata sulla mia spalla».

La memoria, sostiene spesso, è una compagna di vita che non lo tradisce. Si vanta di ricordare tutto, anche nei minimi dettagli, a volte scandendol­o come se fosse un invito a non sfidarlo. Stavolta un vaso che s’è rotto c’è. A Bari, negli ultimi giorni, ci sono cocci ovunque.

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