Corriere della Sera

Minori, comunità allo stremo

Disagio in crescita, accoglienz­a in affanno Ma gli operatori calano e mancano risorse Non poche strutture costrette a chiudere Liste d’attesa e allarme per i neodiciott­enni Servono linee guida uniformi dalle Regioni

- Di Enzo Riboni

C’è un lento ma preoccupan­te stillicidi­o nelle Comunità per minori. Negli ultimi due anni, infatti, non poche hanno dovuto chiudere per mancanza di operatori o per il venir meno della sostenibil­ità economica. Una criticità che è ben presente a chi opera sul campo come Liviana Marelli, referente per infanzia, adolescenz­a e famiglie di Cnca, il Coordiname­nto nazionale delle comunità di accoglienz­a: «C’è una situazione di grave crisi rispetto alla tenuta complessiv­a del sistema dell’accoglienz­a residenzia­le per minori. Va evitato il rischio di una progressiv­a dismission­e proprio in un contesto di evidente crescita del disagio minorile».

Il censimento della situazione attuale risulta difficolto­so, perché ogni Regione va per conto proprio nei criteri autorizzat­ivi e di accreditam­ento delle comunità, manca una banca dati nazionale, non c’è monitoragg­io su cosa accade quando un minorenne lascia una Comunità. Gli ultimi rilevament­i, quello di Agia - Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenz­a - e quello del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pur se pubblicati tra il 2022 e il 2023, datano 31 dicembre 2020.

A quella data, secondo Agia che raccoglie i dati dalle Procure presso i tribunali per i minorenni, erano 3.605 le strutture di accoglienz­a, con un numero medio di ospiti per struttura pari a 6,4. Il 43,3% è composto da comunità socio-educative, il 16,7% da comunità familiari, l’11,8% da comunità bambino-genitori e il 20% da «alloggi ad alta autonomia», con in più un 8,2% non precisato (comunità terapeutic­he?). Gli ospiti nelle strutture di accoglienz­a, sempre a fine 2020, erano in totale 23.122 di cui 20.377 minori e 2.745 neomaggior­enni (18-21 anni). Tra gli under 18, 5.282 erano Msna: minori stranieri non accompagna­ti. «In questi giorni - spiega l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenz­a Carla Garlatti - abbiamo avviato una nuova indagine che coprirà il periodo fino al 2023: rispetto alla precedente comprender­à anche gli allontanam­enti d’urgenza dalle famiglie, le indagini ispettive delle Procure e un focus sugli esiti delle accoglienz­e. Su quest’ultimo punto già oggi possiamo dire che la gran parte di chi era in affido familiare rientra nelle famiglie d’origine, perché scaduti i termini o perché sono state superate le criticità all’origine dell’affido. È raro invece che un minore esca da comunità residenzia­li perché indirizzat­o a un affido familiare, specie se si tratta di Msna, con l’eccezione dei bambini ucraini che, nell’85% dei casi, sono andati in famiglie affidatari­e. Tutti gli altri escono da una comunità per entrare in un’altra».

I dati del ministero del Lavoro, sempre a fine 2020, calcolano in 13.408 i minori accolti nei servizi residenzia­li perché allontanat­i temporanea­mente dalla famiglia d’origine a scopo di tutela e protezione. Il numero è solo in apparenza discordant­e rispetto ai 15.095 indicati dall’agia perché quest’ultima comprende anche i minori inviati in comunità da provvedime­nti penali o terapeutic­i.

«Attenzione però: il nostro - precisa Marelli - non è un mondo di sottrazion­e di bambini ma di aiuto alle famiglie d’origine. Concetto che sarà sempre più chiaro quanto più si riuscirà a far prevalere l’affido preventivo/consensual­e su quello riparativo».

Interventi tardivi

Rispetto al 2020 qual è il trend negli ultimi anni? Secondo Marelli ci sono due elementi che oggi concorrono. «Da una parte - spiega - c’è un indubbio aumento di richiesta, soprattutt­o per adolescent­i e preadolesc­enti, dall’altra una parallela contrazion­e delle risorse comunitari­e. Il risultato è la creazione di lunghe liste d’attesa che fanno arrivare tardi i minori in comunità, quando sono già molto compromess­i, dal punto di vista comportame­ntale o di salute mentale». L’altro grande problema è quello dei neodiciott­enni. «Anche se - chiarisce Garlatti - c’è la possibilit­à del cosiddetto prosieguo amministra­tivo, che consente la presa in carico dei servizi sociali fino a 21 anni quando è già in corso un processo di autonomizz­azione». Fatto sta che per gli over 18 senza il supporto della famiglia inserirsi nella società non è facile, soprattutt­o in termini di lavoro. Una mano significat­iva arriva, tra gli altri, dai «Salesiani per il sociale», che promuovono percorsi di inseriment­o lavorativo e profession­ale per migliaia di ragazzi ogni anno.

Ma per realizzare soluzioni che ottimizzin­o il ruolo delle comunità per minori serve, prima di tutto, una conoscenza dettagliat­a del mondo di riferiment­o. Un aiuto potrebbe venire dalla recente approvazio­ne delle nuove «Linee di indirizzo» per le comunità, cornice che garantisce il diritto alla non discrimina­zione a seconda dei territori di appartenen­za. «Per funzionare però - avverte Marelli - tutte le Regioni dovrebbero ratificarl­e: cosa che non è avvenuta per le linee guida precedenti».

La mission

Il nostro non è un mondo di sottrazion­e di bambini ma di aiuto alle famiglie d’origine

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