«Ennesimo orrore di questa guerra Da mesi ormai causiamo danni anche a noi stessi»
GERUSALEMME Nel suo romanzo La Collina (Giuntina, 2015) Assaf Gavron parla dei coloni come uno dei principali ostacoli alla pace e non ha mai nascosto di essere agli antipodi rispetto al governo Netanyahu. Eppure non voleva dare questa intervista sull’errore dell’esercito israeliano.
«Cosa posso dire di sette cooperanti uccisi?», ha scritto su Whatsapp. Forse che Israele sta perdendo la sua anima, l’ho provocato. «Intende che ha mantenuto l’anima immacolata mentre uccideva arabi per sei mesi e adesso che ha ucciso 7 occidentali l’ha persa?». Ha accettato l’intervista.
Cosa c’è di diverso nella morte dei cooperanti rispetto alla media di cento gazawi uccisi al giorno?
«Quasi nulla. Sono tutte persone innocenti. È un po’ ipocrita sentire più dolore per loro. Però non flagelliamoci. Ogni giorno gli attacchi israeliani sono criticati».
È in imbarazzo sapendo che il leader palestinese Mustafa Barghouti, fratello di Marwan condannato a svariati ergastoli per terrorismo, ha detto che il mondo si dovrebbe vergognare di questa reazione così diversa?
«No. Lo penso anch’io. Ho solo usato un’espressione più sfumata parlando di ipocrisia, ma è una differenza semantica, non sostanziale».
Barghouti non è un suo nemico?
«Non penso che i palestinesi siano miei nemici. Penso che Hamas sia nemica dell’umanità questo sì. E, purtroppo, abbiamo persone nel nostro schieramento che sono ugualmente nemiche dell’umanità. Barghouti non lo è».
L’idea dietro l’operazione a Gaza che giustifica anche l’incidente di ieri è che Israele deve rafforzare la deterrenza. I palestinesi devono essere impauriti per non attaccare più.
«Se non avessimo risposto, il 7 ottobre sarebbe stato interpretato come un invito ad attaccarci ancora. Ma dopo un paio di settimane era già chiaro che i civili in Israele non erano più minacciati. Da allora i progressi in termini di sicurezza sono stati minimi mentre da mesi continuare la guerra fa soprattutto danni».
Alla reputazione dello Stato di Israele?
«Alle relazioni internazio
nali, all’economia, persino alla sicurezza visto che stiamo svuotando gli arsenali e perdendo soldati».
Autodifesa sembra significare per Israele anche la totale distruzione del territorio di Gaza in modo da renderlo inabitabile. Possibile che non ci sia alternativa?
«La realtà è l’alternativa. Non ci sarà distruzione totale di Hamas e tanto meno della Striscia. Anche se uccidi 32 mila gazawi ce ne saranno sempre 2,2 milioni. Non penso però che l’ordine all’esercito sia di distruggere Gaza, penso che stiano bombardando più di quel che dovrebbero o che sarebbe utile, ma non credo che l’obbiettivo sia di costringere i gazawi a emigrare. Possono desiderarlo degli estremisti di questo governo, persone insignificanti, ma i gazawi non se ne andranno. Persino questo governo lo sa».
Lei ha fatto il soldato a Gaza nel 1987. È stato un occupante. Come si sentiva?
«Era molto diverso da oggi. Eravamo a venti anni dall’inizio dell’occupazione dei Territori palestinesi ora siamo a 60. Io vidi la prima Intifada. I palestinesi avevano solo sassi e coltelli. Uno dei danni di tanti anni di occupazione è stato creare una resistenza molto più efficiente militarmente. Il 7 ottobre è stato il culmine. Avremmo dovuto capirlo prima».
Continuare a usare la violenza come scudo invece di lavorare a una soluzione politica ha peggiorato le cose?
«Veramente la prima Intifada ha portato nel ‘91 ai colloqui di pace a Madrid e nel ‘93 al processo di Oslo. Il tentativo di soluzione politica ci fu con concessioni dalle due parti. Solo che non ha funzionato».
Perché?
«Diversi errori di individui di entrambi i lati. Ma essendo Israele più forte credo abbia più responsabilità».
Lei sta usando parole come resistenza, errori, colpa. Lei empatizza con i palestinesi.
«Con i palestinesi, con Hamas no dal momento che non è neanche il governo dei palestinesi e non rappresenta neppure la maggioranza della popolazione. La condanna per Hamas e il suo terrorismo è senza riserve. Solo che capisco i palestinesi, il loro desiderio di diritti umani, identità nazionale e tutto il resto».
Questa guerra è un punto di svolta?
«Ancora troppo presto per dirlo. Ci sono forze che spingono in direzioni diverse. Hamas, i palestinesi, gli Stati arabi, l’america, Israele, la società civile. Penso che questo governo cadrà. Andrà meglio senza Netanyahu, ma non sono sicuro che il cambio sarà determinante».
Impossibile distruggere totalmente Hamas, ci credono soltanto gli estremisti al governo