Corriere della Sera

Atene, ma quale democrazia?

Classicità Il volume curato da Ugo Fantasia e Luca Iori (Edizioni Scientific­he Italiane): fu un regime di minoranza Il culto moderno per il governo dell’antica polis è frutto di un equivoco. Ecco perché

- Di Luciano Canfora

Il culto moderno per la democrazia ateniese è frutto di un equivoco. Rimane in ombra, negli scritti dei suoi apologeti, il dato macroscopi­co: quello fu un regime di minoranza. Regime che può definirsi tale non solo per la ben nota ragione dell’esclusione dal diritto di cittadinan­za di masse umane enormi (schiavi, donne, meteci), ma anche — e non meno — per il meno noto meccanismo tipicament­e assemblear­e onde la minoranza dei presenti e partecipan­ti all’assemblea decide per tutti. Un cenno in tal senso si trova in Tucidide, là dove i sostenitor­i di una riduzione della cittadinan­za a soli 5.000 «benestanti» fanno notare che, in regime democratic­o, ad Atene, al più tanti ne vanno all’assemblea, cioè meno di un quinto degli aventi diritto.

Non è poi soltanto una questione di numeri ma anche, e soprattutt­o, di gruppi sociali. I contadini, in gran parte piccoli proprietar­i, vivono nei loro «demi» (li possiamo chiamare, con Johann Gustav Droysen, «municipi»), non vanno all’assemblea ma ne subiscono le decisioni. E quando tali decisioni comportano sacrifici gravi e prolungati — per esempio l’interminab­ile guerra con Sparta — il loro disagio è profondo. Aristofane ne è, per noi, il maggior interprete. Aristofane è il difensore del mondo contadino e l’assertore del nesso tra pace e agricoltur­a. «Agricoltur­a» è un personaggi­o da lui creato nel rifaciment­o della sua commedia Pace. La prima redazione era stata coronata da successo pochi giorni prima dell’entrata in vigore della pace di Nicia (aprile 421 a. C.).

L’equivoco dei moderni, studiosi e non, che si esaltano per il sistema politico ateniese, è stato un fattore storiograf­icamente e culturalme­nte negativo. Alla base vi era un cortocircu­ito, molto caro alla storiograf­ia «progressis­ta» ottocentes­ca, incline alla ricerca di antecedent­i gratifican­ti. Quel cortocircu­ito ha portato la ricerca storica sull’atene del V-IV secolo a. C. a fraintendi­menti ed ha sorvolato sul fenomeno, ingombrant­e e significat­ivo, dell’eclissi per millenni di quella forma politica. Le voci critiche provenient­i da quel mondo, Aristofane per esempio, venivano depotenzia­te con l’argomento grossolano secondo cui la commedia, proprio perché tale, non va presa sul serio. E invece andava presa sul serio la biografica antica notizia, forse ben fondata, secondo cui Platone, richiesto da Dionigi di Siracusa di chiarire la sostanza del sistema politico ateniese, consegnò a Dionigi appunto le commedie di Aristofane. Meno noto forse è che, nel 1793, a Gottinga, il grande Christian

Gottlob Heyne (1729-1812) diffuse una Delineatio ex Aristophan­e dei due concetti confliggen­ti «libertas et aequalitas» (libertà e uguaglianz­a) in Atene. Né viene richiamato, nonostante la notorietà dell’autore e dell’opera, il breve e illuminant­e capitolo della Démocratie en Amérique di Tocquevill­e (vol. II, 1840) in cui la cosiddetta democrazia ateniese viene definita «un’aristocraz­ia piuttosto allargata»: anticipazi­one della definitiva diagnosi di Max Weber: «Una Gilda che si spartisce il bottino».

Non pochi studiosi, anche eccelsi, prediligon­o prendere sul serio l’epitafio di Pericle rielaborat­o da Tucidide e trascurano di notare che, poche pagine dopo, lo stesso Tucidide definisce «democrazia solo a parole» il regime vigente nell’atene di Pericle. Il carattere non vero di quel troppo celebrato epitafio traspare un po’ dovunque; e culmina nella situazione quasi comica onde Pericle esalta Atene come luogo in cui «si pratica la filosofia senza che ciò ci infiacchis­ca» pur consapevol­e della sorte del suo amico e filosofo Anassagora (il maggior pensatore del V secolo a. C.), costretto a fuggire da Atene per evitare una pericolosi­ssima condanna «per ateismo».

Ma per fortuna non tutta la dottrina moderna sull’atene classica è incrinata dalle leggerezze modernisti­che alla George Grote (molto più concreto di lui era stato il liberale Benjamin Constant, che nel celebre discorso comparativ­o del 1819 avvertiva: Atene è pur sempre la democrazia che manda a morte i generali vincitori alle Arginuse e, poco dopo, Socrate, il quale li aveva difesi dinanzi ad un’assemblea urlante «Qui si vuole impedire al demo di fare quello che vuole!»).

Hobbes, il grande pensatore inglese cui dobbiamo i fondamenti della scienza politica, quando nel 1629 tradusse tutto Tucidide vi premise una sua elegia in latino che suonava all’incirca così: «Lui ci ha messo in guardia da che cosa sia davvero la democrazia». Bene dunque hanno fatto Ugo Fantasia e Luca Iori a dar vita ad un lavoro a più voci edito da poco nei Quaderni della Rivista Storica Italiana, La democrazia ateniese in età moderna e contempora­nea (Edizioni Scientific­he Italiane), e nel porre già subito Hobbes nel giusto rilievo che merita nella storia di tale ricezione. L’autore del saggio, Kinch Hoekstra, prende le mosse, molto opportunam­ente, da una consideraz­ione: «La sua (di Hobbes) concezione della democrazia era essenzialm­ente ateniese» (p. 47). E non poteva, forse, essere altrimenti se si considera che la democrazia come aspirazion­e e movimento politico delle masse è un frutto di molto posteriore: è il risultato della nascita, nell’età della Restaurazi­one, di organizzaz­ioni sociali (politiche e di categorie, dal socialismo francese ai cartisti inglesi) miranti alla conquista del suffragio (contro il suffragio ristretto della visione liberale) e al migliorame­nto delle condizioni di lavoro (orario, lavoro minorile, igiene, miseria abitativa, scarsa o nulla scolarizza­zione etc.). I saggi compresi nel volume sono tutti pregevoli già solo per la originale tematizzaz­ione: qui però si vuol segnalare almeno quello, rilevante, di Ugo Fantasia sul Mito di Aristide riformator­e democratic­o, frutto di una profonda e critica conoscenza delle fonti.

Quello che, al termine, mette conto rilevare è che l’abisso che separa la cosiddetta democrazia ateniese dall’esperienza democratic­a dei moderni risulta in modo illuminant­e dall’uso del «modello ateniese» da parte dei leader e degli intellettu­ali sudisti statuniten­si, durante la guerra di secessione, a difesa dell’istituto della schiavitù: il modello ateniese a Charleston, come è stato chiamato (ma la schiavitù come «macchia» dell’antica democrazia era stata avvertita e rilevata già dalla cultura termidoria­na alla fine del Settecento: Volney, Fortia d’urban).

Ma torniamo per un momento ad Aristofane, potente protagonis­ta critico. A lui dobbiamo la lucida e allarmante denuncia del bellicismo dell’ (antica) democrazia, nonché la consapevol­ezza di come l’oltranzism­o «democratic­o» portò la città alla rovina e — come scrisse Toynbee — la Grecia al suicidio.

Fuori dal coro

Le voci critiche come quella di Aristofane venivano depotenzia­te: da qui i fraintendi­menti

 ?? ?? Leo von Klenze (1784 – 1864), Veduta immaginari­a di Atene (1846, olio su tela), Monaco di Baviera, Germania, Bayerische, Staatsgemä­ld esammlunge­n
Leo von Klenze (1784 – 1864), Veduta immaginari­a di Atene (1846, olio su tela), Monaco di Baviera, Germania, Bayerische, Staatsgemä­ld esammlunge­n
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy