Federico Doria «I social? Importanti ma non rinunceremo al dj in carne e ossa»
Sono lontani i tempi in cui i dj giravano per discoteche con borsoni zeppi di vinili, per poi mettersi ai piatti con un mixer audio analogico. Oggi per inventarsi la colonna sonora di una serata bastano un computer e una chiavetta Usb, sulle piattaforme di streaming si trova la musica del mondo intero e sul web corsi e tutorial abbondano. «Non ci si può più muovere solo per locali, essere online è fondamentale», dice Federico Doria, giovane dj di Venezia, classe 1999, con un canale Youtube da 26 mila iscritti dove recensisce software, hardware e accessori per dj e dispensa consigli a chi vuole seguire le sue orme. Cose che farà anche al MIR con un ciclo di Short Clinic. «Mi sono avvicinato alla musica da bambino influenzato da mio padre, che è un patito di impianti audio e hi-fi. Grazie a lui ho anche avuto tra le mani vinili e cd e nel 2007 ho messo per la prima volta musica a una festa: avevo 8 anni, ero con gli amichetti».
Poi sono esplosi i social ed è cambiato tutto anche sul fronte della promozione. «Ormai i social sono imprescindibili», osserva Doria, perito informatico. «Servono per crearti un’immagine attraverso la creazione di contenuti e da lì trovare serate e collaborazioni con aziende e brand». Un lavoro nel lavoro, con i pro e i contro. «Un tempo c’erano meno opportunità, ma erano meno anche gli aspiranti dj. Perché non si facevano dj-set ovunque come ora, le occasioni di formazione erano scarse e il costo di accesso al mestiere era estremamente alto. Adesso le attrezzature sono più economiche, il che, da un lato, ha portato l’età dei neofiti ad abbassarsi, c’è chi già alle elementari si fa regalare dai genitori un controller, dall’altro ha reso la competizione più agguerrita. Ed è sempre più difficile distinguere un professionista dai tanti che si improvvisano».
Quest’ultimo problema potrebbe aggravarsi con la diffusione dell’intelligenza artificiale generativa, ma Doria è pragmatico: «Siamo di fronte all‘ennesima rivoluzione, avviata nel nostro settore già qualche anno fa. Difficile fare previsioni, ma non credo in un mondo dove, invece che uscire, si parteciperà ai party solo virtualmente, da casa, con indosso un visore. Potrebbe, però, accadere che in futuro locali e festival, magari in apertura alle serate, quando il rischio di avere poca gente è più alto, potranno preferire al dj in carne e ossa una IA in grado di preparare un set. Può spaventare, ma penso riusciremo a trovare un equilibrio. Puntando su quelle applicazioni tecnologiche che anziché toglierci il lavoro, possono facilitarcelo». R.OL.
Un tempo c’erano meno opportunità di lavoro per noi ma erano meno anche gli aspiranti dj