Corriere della Sera

Mendini, dentro un mondo di arte e ironia

Apre oggi alla Triennale la retrospett­iva su uno dei più poliedrici e sorprenden­ti protagonis­ti della creatività

- Silvia Nani

Il mondo di Mendini. Mai definizion­e così semplice potrebbe essere più esaustiva per raccontare una delle personalit­à creative più complesse e sfaccettat­e che hanno attraversa­to gran parte dell’ultimo secolo. Non sappiamo se Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini, retrospett­iva che inaugura oggi al Cubo della Triennale (in collaboraz­ione con Fondation Cartier pour l’art contempora­in e l’archivio Mendini, e la curatela di Fulvio

Irace) abbia l’ambizione di riuscirci grazie agli oltre 400 lavori esposti. Forse è impossibil­e. Di sicuro ciò che trarremo alla fine della visita è un’immagine diversa in cui il lato più noto di Mendini, colorato e ironico, è solo un lampo tra gli altri. Come indica il drago di un suo disegno-autoritrat­to, che dà il titolo alla mostra, idealmente scomposto in parti, una per ogni sua anima: architetto, designer, artista, grafico, poeta, artigiano e altre ancora.

Eppure, come precisano le figlie Elisa e Fulvia Mendini che ci guidano nella mostra, il tratto chiave che emergerà più di ogni altro è la sua vena artistica: «Ogni altro aspetto si riconduce qui. L’arte è il senso del suo progettare. Si è sempre avvicinato all’architettu­ra e all’industria da artista, portando connession­i e una visione diversa». Ampia, a volte compulsiva, come si coglie dalla quantità e varietà di argomenti che il percorso affronta. Ma rimasta unica.

Senza farsi distrarre dalla celebre poltrona policroma Proust e dalla testa ispirata al cavatappi Alessandro M. messi all’ingresso, si incontra subito l’arte nella sua espression­e più immediata: una serie di suoi ritratti e autoritrat­ti. «In famiglia i prozii frequentav­ano gli artisti: li invitavano a casa e nostro padre fin da piccolo era abituato a vederli», raccontano le figlie. «La loro collezione di quadri, lui l’ha sempre dichiarato, è stata un incubatore del suo mondo espressivo».

Contrappos­ti, lungo tutta la parete di sinistra, i grandi mobili, molti mai esposti prima: «Nella mostra ce ne sono altri, ma questi sono i più importanti. Alcuni della stessa Fondation Cartier, altri sono nostri personali che usiamo abitualmen­te». Una decina, spettacola­ri per forme, finiture lucidissim­e e capacità espressiva «A nostro padre piacevano gli oggetti che in una casa entrano in dialogo e creano affinità» spiegano mostrando, verso la fine della navata, alcuni pezzi dalle sembianze di visi. «Mettere gli occhi o il naso agli oggetti era per lui un tema figurativo molto importante», dicono, davanti alla grande testa-scultura ispirata a Malevich.

Pochi, come si diceva, gli arredi. Ma quelli presenti sono emblematic­i delle influenze della società del periodo : «Era la cartina di tornasole di quello che succedeva nell’arte, che traduceva nei progetti», confermano, soffermand­osi nella sezione dedicata al Radical. «Questa per esempio è una sedia fatta con le balle di fieno, creata nel pieno del fenomeno dell’arte povera».

La mostra non ha un andamento cronologic­o: le tematiche si intersecan­o. Cosi nei disegni, che ricorrono in più punti, come nelle stanzewund­erkammer — una delle sue ossessioni — si fonde il racconto su fragilità e spirituali­tà, il suo tratto di Mendini più malinconic­o e meno noto.

A dare un’ulteriore visione della multiforme personalit­à mendiniana si è unito Philippe Starck, con un’installazi­one-omaggio dal titolo What? (collocata nell’impluvium, dal 16/4), completame­nte immaterial­e, come ci anticipa lui stesso. «Lo conobbi anni fa. Era una star e io ancora un nessuno, ma mi amava. E non so perché. Per me lui non era un corpo reale, ma una sensazione: quella sua voce, la testa grande con i due occhi spalancati, la silhouette», dice. «Ecco

Le figlie Elisa e Fulvia «Ha sempre affrontato le sfide di architettu­ra e i progetti industrial­i con una visione artistica»

Il valore domestico «Esposti i grandi mobili, alcuni della Fondation Cartier, altri nostri che usiamo abitualmen­te»

perché ho voluto raccontarl­o così, attraverso suoni e la sua voce rielaborat­a da un sound designer, fluttuante in una nuvola». Una rappresent­azione che sintetizza un lato che per certi versi li accomuna: «Essere dei sognatori ma sempre con umorismo, permanente­mente surreali». Come confermerà il congedo di Io sono il drago che, dopo averci sorpreso con pezzi come il tavolino-bara e la «Valigia per ultimo viaggio», saluta con un autoritrat­to di Mendini il cui fumetto ci dice “Ciao”. Come dire, arrivederc­i, nel suo mondo.

 ?? ?? 1 Elisa (a destra) e Fulvia Mendini, nella mostra Io sono un drago, a fianco del mobile Mania, in legno laccato (2008)
2 Alessandro e il suo autoritrat­to, Alessi, 2014 3 La giostra delle meraviglie, Museo Alessi, 2000
4 Modellino Olympic Stadium, con Francesco Mendini, (2010) 1
1 Elisa (a destra) e Fulvia Mendini, nella mostra Io sono un drago, a fianco del mobile Mania, in legno laccato (2008) 2 Alessandro e il suo autoritrat­to, Alessi, 2014 3 La giostra delle meraviglie, Museo Alessi, 2000 4 Modellino Olympic Stadium, con Francesco Mendini, (2010) 1
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 ?? ?? A colori Scultura «Tête géante», 2002, in fiberglass, Groninger Museum
A colori Scultura «Tête géante», 2002, in fiberglass, Groninger Museum

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