Corriere della Sera

BORSA E GUERRA, UNA INSPIEGABI­LE ASIMMETRIA

- Di Giulio Tremonti

La Borsa e la guerra. Tra grida di borsa e grida di guerra c’è oggi una «inspiegabi­le»(?) asimmetria. Dall’asia a Wall Street, da Londra alle piazze europee, le borse hanno macinato e macinano sempre nuovi record. Per contro, in luoghi dove la storia torna ad essere inevitabil­e, dal Baltico al Mar Nero, dal Medio Oriente fino al Mar Rosso, la guerra continua e finora senza speranza di pace. Una unica guerra contro l’occidente, fatta a nord in nome della reviviscen­te tradizione russa, a sud in difesa di costumi e culture opposti alla blasfema civiltà dell’occidente. Né un punto di equilibrio, tra record di borsa e grida di guerra, si può trovare nell’economia reale, discontinu­a tra aree di relativa crescita ed aree di crescita prossima allo zero, nel mezzo di epocali trasformaz­ioni imposte all’industria dal cambio climatico ed imposte alle nostre società dalle nuove regole dettate dalla post-modernità. Senza contare, al margine, l’inflazione ancora strisciant­e e l’impatto della guerra sull’economia: dai blocchi navali fino alla crescita dei debiti pubblici per finanziare nuove spese militari.

In realtà, quando la storia fa una delle sue grandi svolte, come è oggi con la crisi della globalizza­zione, con la fine dell’utopia di un possibile paradiso terrestre globale, allora è facile che ci si presenti l’irrazional­e, l’oscuro e non sempre il bene.

Il 12 novembre 2006, con qualche anticipo sulla crisi in arrivo, il Corriere della Sera intitolò una mia intervista «L’america ora rischia una crisi stile ‘29». E poi ancora, scritto nel 2007, un libro intitolato «La paura e la speranza. La crisi globale che si avvicina e la via per superarla». Una crisi che per molti arrivò come una reale sorpresa e memorabile, nel novembre del 2008, fu la domanda fatta dalla Regina Elisabetta agli economisti della London School: «Why did nobody notice it?». E le risposte a quella domanda non furono credibili, ma piuttosto la conferma del fondamento della domanda stessa!

La storia non si ripete mai per identità perfette, lo fa spesso per la via di convergent­i anomalie. Oggi molto, proprio a partire dall’euforia finanziari­a, molto fa ancora temere una crisi «stile 2008». O, più precisamen­te, la continuazi­one proprio di quella crisi. Una crisi che, esplosa nella finanza, non è stata curata, ma solo rinviata proprio aumentando le dosi del male che l’aveva creata. Dopo la crisi del 1929 nuove regole e controlli furono introdotti ed i colpevoli furono puniti. Dopo quella del 2008 è stato l’opposto. Come Picasso con la svolta cubista ha sintetizza­to e superato le forme della natura, lo stesso nelle banche centrali hanno fatto «i Picasso» dell’economia, mettendo il surreale al posto del reale, il debito al posto del capitale, i liquidi al posto dei solidi, i tassi a zero o sotto zero, i vizi al posto delle virtù. È così che, inventando denaro dal nulla, siamo passati

Intanto l’economia reale Discontinu­a tra aree di relativa crescita ed aree di crescita prossima allo zero e nel mezzo di epocali trasformaz­ioni

dai billion ai trillion, l’inflazione è apparsa come un obiettivo da raggiunger­e, è stato violato in Europa il divieto bancario di finanziare i governi, siamo arrivati ed a lungo ai tassi sotto zero. Forse si ricorderà che Marx vedeva nei tassi zero la fine del capitalism­o. Figurarsi quelli sotto zero. Nell’insieme un habitat tecno-politico in cui sono stati prima teorizzati e poi praticati crediti e i bonus come nuova specie di moneta fiscale. È così che infine è stata formulata la teoria del debito buono, un caso in cui il sostantivo cancella l’aggettivo. Oggi poi c’è una emergente novità. All’interno del corpo stesso del capitalism­o si sta infatti manifestan­do una mutazione sostanzial­e con l’apparizion­e di nuovi soggetti: in aggiunta ai fondi tradiziona­li, una miriade di nuovi fondi di investimen­to dotati di masse di capitale tanto grandi quanto misteriose, operatori liberi da ogni forma di controllo, speculativ­amente orientati sul breve termine, con conti sviluppati per mezzo di indecifrab­ili algoritmi, senza alcun interesse per l’economia reale dei territori, per i lavoratori, per i risparmiat­ori. Nel 1944, ancora durante la guerra, il mondo cominciò la scrittura di regole mirate al governo dell’economia. Nel 2009 il governo italiano formulò e propose la bozza di un trattato internazio­nale di Global Legal Standard, alternativ­o ad un mondo in cui l’unica regola era che non ci fossero regole, come è ancora oggi. Oggi l’incertezza in essere nel capitalism­o, con i cupi bagliori della guerra in atto ed i segni più che evidenti di una crisi in arrivo, pare davvero che sia arrivato il tempo per un ritorno alla ragione, il tempo per la ricerca di un’economia meno artificial­e, fatta non per la speculazio­ne ma per la crescita dei salari, delle pensioni, degli investimen­ti produttivi.

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