Marlene Dietrich, la parigina a New York
Icona di Dior, lo stile della diva tedesca fece conoscere la maison francese negli Usa. Chiuri: esempio di libertà
NEW YORK Le grandi mani al neon serrate nel gesto femminista simbolo da sempre di battaglie e rivendicazioni dominano la grande sala. Gialle, azzurre, rosa accolgono con tutto il loro messaggio gli ospiti al Brooklyn Museum a New York dove Maria Grazia Chiuri sfila la sua collezione Dior pre-fall. Gli invitati entrano, sguardo all’insù, rivolto a quei gesti ripresi che sembrano ali spiegate. Fa anche un po’ effetto: dalle proteste agli chiffon, ma sono proprio i confini di pregiudizi e stereotipi che vanno abbattuti. Alcune ospiti frettolose passano sotto senza riflettere, altre sorridono, altre timidamente si concentrano sul gesto per i selfie di rito, tante lo indicano con orgoglio. Alla designer, anche quando tutto è finito non sembra ancora vero di essere qui, a New York, in un museo tanto importante, con la sua moda e con le sue idee: «Venivo entusiasta da ragazza» dice riflettendo sul fatto che mai avrebbe pensato di arrivare a tanto.
Tutto diventa un rispettoso omaggio a storia e ideologia, là dove la prima è il remake di monsieur che nel Dopoguerra da Parigi «sbarca» dal transatlantico Queen Elisabeth a Manhattan, coglie l’attimo e conquista, lui per primo, il mercato americano. La seconda è la consapevolezza della stilista di poter aiutare la causa delle donne continuando a collaborare con altre donne, artiste e femministe. Un impegno mai mollato, neanche per un attimo con carta bianca della maison e la consapevolezza di un tempo difficile dove tanti sono i temi sociali sotto riflettori. «Siamo una grande azienda e viviamo nel quotidiano qualsiasi cosa accada nel mondo dove non c’è mai pace. Mi piace pensare che la bellezza che produciamo possa dare un po’ di sollievo».
Ci sono quindi le installazioni luminose dell’artista collettiva Claire Fontaine, che mostrano il segno del sesso femminile, in omaggio a Suzanne Santoro la terza protagonista di questo racconto. «La collaborazione con queste artiste mi dà una soddisfazione immensa», commenta Chiuri, consapevole della sfida (ormai vinta) di parlare di temi mai affrontati nel (luxury) wonderful world. Il crash dei due universi è forte, qualche volta surreale ma per questo ancora più stimolante. La collab porta così (anche) le opere della Santoro, che è americana di nascita (classe 1960) ma romana di vita dagli anni Sessanta, al Brooklyn Museum con un’installazione.
Fra le tre donne, infine, Marlene Dietrich anello di congiunzione fra passato e presente, Parigi e New York: icona di monsieur Christian Dior, l’attrice era personalità allo stato puro e così il suo stile: «Una donna super contemporanea e libera che si vestiva non per la performance di un red carpet ma per un suo stile nella vita», riflette la stilista. Gli anni Quaranta nell’aria ma contaminati dalla scena underground newyorchese: fra gonne pencil, le spalle precise, le giacche avvitate, i completi sporty logati, gli short, gli abiti midi di frange di perline, gli sky line di New York nei motivi degli jacquard. Iconoclastia sicura: la Statua della Libertà e la Torre Eiffel, in grande formato su numerosi modelli. La collezione è la quinta essenza del pragmatismo di Chiuri: tutto si sogna e tutto si indossa.
La stilista
«Siamo una grande azienda e viviamo nel quotidiano. Spero che la bellezza dia sollievo»