Corriere della Sera

Il Fmi taglia le stime sul Pil, la crescita dell’italia nel 2025 si fermerà allo 0,7%

Ma meglio della Germania. Usa, Powell frena sul taglio dei tassi

- Di Massimo Gaggi

WASHINGTON Ottimismo per lo scampato pericolo: il doppio choc della pandemia e della guerra in Ucraina che ha provocato anche una crisi energetica, avrebbe potuto far precipitar­e il mondo in una nuova recessione. Non è successo e ora gli economisti del Fondo Monetario nel loro Outlook mondiale per il 2024 si spingono a prevedere un atterraggi­o morbido: non solo recessione evitata ma anche fiammata inflazioni­stica tornata sotto controllo.

Se, però si guarda al futuro, i motivi di ottimismo diminuisco­no, soprattutt­o per l’europa: il mondo nel 2023 è cresciuto ad un tasso del 3,2% e continuerà a questo ritmo anche quest’anno e l’anno prossimo: è il ritmo più basso degli ultimi decenni. A trainare sono India (+7,8%) e Stati Uniti, dove il Pil continua a salire al di là delle previsioni degli economisti, ma ha ripreso a crescere anche l’inflazione, con conseguent­e rinvio dell’attesa fase di riduzione dei tassi d’interesse. Per l’america, dove la domanda interna rimane vivace, i rischi sono di medio-lungo periodo e riguardano soprattutt­o la crescita del debito pubblico:

Washington ha speso molto per evitare la recessione. Ora dovrebbe adottare politiche fiscali più prudenti. In parte lo sta facendo, ma non basta: coi tassi ancora elevati, il costo del debito federale cresce rapidament­e.

Se per gli Usa gli economisti del Fmi prevedono un rinvio della riduzione dei tassi e il presidente della Fed Jerome Powell ha ridimensio­nato le attese sui tagli, per l’europa il mercato pensa a interventi imminenti. Scenario confermato da Christine Lagarde: per la presidente Bce «se non ci saranno altri choc» il momento dei tagli è dietro l’angolo perché «la fase di disinflazi­one sta procedendo secondo le nostre aspettativ­e». In effetti l’inflazione europea è più controllat­a rispetto agli Usa: in Italia quella di marzo è stata dell’1,2% anno su anno, in lieve aumento a causa dell’esauriment­o dell’effetto positivo del calo dei prezzi dell’energia. Al netto di combustibi­li e cibo, l’inflazione “di fondo” è al 2,3%. Numeri comunque confortant­i, ma che sono anche figli di una crescita economica molto ridotta. Il Fondo Monetario corregge le sue previsioni di gennaio al ribasso: dopo la crescita dello 0,9% nel 2023, quest’anno il Pil si fermerà allo 0,7 e rimarrà così anche nel 2025 (in precedenza era previsto un 1,1%) mentre la disoccupaz­ione è prevista in aumento dal 7,7% del 2023 all’8% l’anno prossimo. Questo perché nell’ultimo anno sono state fatte molte assunzioni in previsioni di una crescita che non ci sarà.

Un problema non solo italiano: mentre la Spagna quest’anno crescerà all’1,9%, i due motori della Ue, Germania e Francia, continuano a soffrire. Berlino è uscita dalla recessione dello scorso anno, ma fatica a ripartire: Il Fmi ha tagliato dallo 0,5 allo 0,2% le previsioni per quest’anno. Stesso taglio dello 0,3% per la Francia (crescerà dello 0,7%).

L’unica speranza viene dalla riduzione del costo del denaro che in Europa potrà essere più pronunciat­a proprio perché i rischi inflazioni­stici sono minori. Bisogna solo augurarsi che, tra guerre e instabilit­à della Cina, non si creino nuovi, pericolosi focolai. Dopo l’ucraina e Gaza, ora gli occhi sono puntati sull’iran: prezzi petrolifer­i già in risalita. Cosa che aiuterà la Russia che, nonostante la guerra, cresce più dell’europa (3,2% quest’anno) grazie all’export di energia e alla spesa pubblica, soprattutt­o militare. Ma Janet Yellen, ministro del Tesoro Usa, avverte che le riunioni dei ministeri finanziari del G7 di questi giorni serviranno anche a definire il destino degli asset finanziari russi congelati in Occidente.

Altro nodo allarmante è la Cina, in difficoltà per la crisi immobiliar­e e l’eccesso di spesa pubblica. Il Pil più alto del previsto annunciato ieri dovrebbe essere una buona notizia, ma con i consumi interni sempre deboli, la crescita deriva da una spinta di Pechino all’export che, nell’attuale clima di tensioni commercial­i, rischia di alimentare nuovi conflitti e far sorgere altre barriere.

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Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fondo monetario internazio­nale

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