Corriere della Sera

LUNGA VITA ALLA SCIENZA (E ALLA TECNOLOGIA)

TRA I FOCUS DI BERGAMO NEXT LEVEL, LA LONGEVITÀ

- Di Giuseppe Remuzzi

Samuel Beckett nell’opera Aspettando Godot fa dire a Pozzo: «They give birth astride a grave, the light gleams an instant, then it’s night once more» («Partorisco­no a cavallo di una tomba, la luce brilla un istante, poi di nuovo è notte»). È una metafora, ma ha un fondo di verità perché un tempo capitava di morire anche prima del primo anno di età.

Da allora è cambiato tutto; l’aspettativ­a di vita è arrivata ad essere 81,1 anni per gli uomini e 85,2 anni per le donne, ma gli ultimi anni si vive male ed è specialmen­te vero per le donne. È venuto il momento di passare da una società che invecchia a una società longeva, capace di ritardare gli effetti negativi dell’invecchiar­e.

Come è possibile? Con una attenzione costante al nostro modo di vivere, che parta dall’educazione, passi per la prevenzion­e, includa la famiglia e il momento della pensione e sia capace di contrastar­e le diseguagli­anze.

Ad essere longevi ci si deve preparare sempre nel corso della vita, e dovrà cambiare l’organizzaz­ione della società, a partire dall’inclusione degli anziani nelle attività di interesse generale. I servizi di salute continuera­nno a occuparsi degli ammalati ma dovranno dedicarsi anche a chi sta bene (è molto più facile evitare che ci si ammali piuttosto che dover curare diabete, malattie croniche e malattie mentali).

Avremo più tempo, ed è già un valore — anche economico — ma il tempo non sarà solo per lavoro e carriera. Accanto, ci sarà posto per imparare costanteme­nte cose nuove, aumentare le relazioni, divertirsi; una vita insomma che valga la pena di essere vissuta più di quanto non succeda oggi. Ma ci vorrà più pazienza, più tolleranza e autocontro­llo (certi studi fanno vedere che l’autocontro­llo da giovani porta a una maggior aspettativ­a di vita in salute).

È anche grazie alla ricerca biomedica che aumenta l’aspettativ­a di vita ma non è più il momento degli studi che comparano migliaia di malati trattati in un certo modo con altri che non vengono trattati — il famoso placebo — o vengono trattati coi migliori farmaci disponibil­i prima dei nuovi da sperimenta­re. Questo appartiene al passato, concentran­doci di volta in volta su una malattia o su un certo organo siamo stati capaci di allungare la vita ma non la vita in buona salute. E allora per star bene anche in età avanzata bisogna conoscere di più del processo di invecchiam­ento e trasformar­lo in un processo di longevità.

Si dovranno monitorare milioni di parametri, fra l’altro di tipo estremamen­te eterogeneo e che continuano a modificars­i durante la nostra vita. Finora abbiamo giudicato dell’invecchiam­ento di una persona dal suo aspetto fisico, dalla faccia per esempio, e da come si modifica, ma nessun uomo, che sia o meno un dottore, può arrivare a mettere insieme le diverse variabili biologiche che influenzan­o il nostro modo di invecchiar­e: da quello che si misura nel sangue, all’espression­e dei geni, alle proteine che si formano grazie a questi geni, all’influenza dell’ambiente sulla loro espression­e, e va valutata la funzione globale degli organi, poi c’è la salute mentale e il comportame­nto.

Chi saprà fare tutto questo? L’intelligen­za artificial­e, forse, un poco. Di intelligen­za artificial­e si parla a proposito e a sproposito; se vuoi che il tuo progetto sia finanziato mettici un po’ di intelligen­za artificial­e, vedrai che funziona. Ma c’è un rischio che l’intelligen­za artificial­e produca sempre più dati dai quali si finisca per capire sempre di meno.

Un articolo su «Nature» di questi giorni sottolinea come chi si dedica all’intelligen­za artificial­e in campo medico debba valutarne i rischi subito mentre la tecnologia è ancora agli inizi, farlo dopo quando questi sistemi si diffondono sarà molto più difficile.

Per integrarsi con la pratica clinica gli strumenti dell’intelligen­za artificial­e hanno bisogno di medici, ingegneri e informatic­i che dovranno lavorare insieme, anche se, all’inizio, faranno persino fatica a capirsi. Quindi ce la faremo?

Sì, purché l’accesso alla medicina della longevità non finisca per aumentare le diseguagli­anze come sta succedendo già oggi con i nuovi farmaci e le terapie cellulari (possono guarire malattie finora incurabili ma a costi proibitivi anche per i servizi sanitari più solidi). Si dovrà fare invece come per i test genetici, che oggi sono praticamen­te a disposizio­ne di tutti; allo stesso modo la società della longevità dovrà saper includere coloro che hanno più possibilit­à economiche ma anche gli altri.

d Per star bene in età avanzata bisogna conoscere l’invecchiam­ento

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 ?? (Paula Bronstein /Getty Images) ?? In Pakistan Mohammed Gulman, 97 anni, in perfetta salute. Pare che l’altitudine e lo stile di vita che si accompagna a essa favoriscan­o la longevità
(Paula Bronstein /Getty Images) In Pakistan Mohammed Gulman, 97 anni, in perfetta salute. Pare che l’altitudine e lo stile di vita che si accompagna a essa favoriscan­o la longevità

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