Le voci salvano una Gioconda rigida e sciapa
San Carlo di Napoli strapieno per ciascuna delle recite di La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Lo spettacolo di Romain Gilbert è fine, ragionato, ineccepibile per plausibilità drammatica. Ma un po’ sciapo. Pinchas Steinberg porta sul podio esperienza e autorevolezza. Ma è un po’ rigido (e non nel senso per cui il termine è usato da quanti vorrebbero i direttori proni ai cantanti). È rigido perché non produce musica fluida. Insomma, fin qui è una Gioconda ma come se ne possono ascoltare altre.
La differenza la fa il cast da mille e una notte assemblato per l’occasione. Con Anna Netrebko, Jonas Kaufmann e Ludovic Tézier, ovvio che la sala sia strapiena. Dove trovare tanto morbido velluto in tutta la gamma d’estensione (potenti altezze gravi comprese) e tanta intensità espressiva come nella vocalità del soprano russo? Dove rintracciare la classe da vero interprete di Jonas Kaufmann, che certo non è più il tenore prorompente di qualche anno fa e tradisce la preoccupazione di non essere più quello ma vola comunque più alto di (quasi) tutti? Soprattutto, dove mai esiste oggi un baritono straordinario come il francese che garantisce colori, fraseggi ed espressioni in perfetto stile e che domina la scena come un padreterno? È un numero uno senza rivali, non a caso il più applaudito.
Discreti gli altri cantanti, a partire da Evemaud Hubeaux, e il coro. L’opera non è solo canto, si sa. Ma per una volta ci può stare di assistere a uno spettacolo che trova nel canto la sua unica ragion d’essere.
La Gioconda, di Amilcare Ponchielli
Regia Romain Gilbert; direttore Pinchas Steinberg ●●●●●●●●●● 8