«C’è tensione, non violenza Fuori i gruppi più estremisti I politici soffiano sul fuoco»
Alexander Stille sulle proteste in corso alla Columbia
Alexander Stille arriva a piedi alla Columbia University, dove insegna Giornalismo. «È chiaro che la situazione è tesa da mesi: da un lato studenti frustrati per la tragedia umanitaria a Gaza, con manifestazioni nel campus che di tanto in tanto superano i limiti della protesta pacifica e con momenti di disagio e ostilità per alcuni studenti ebrei. È un conflitto tra valori contrastanti: il diritto alla protesta e alla libertà di parola e il diritto degli studenti a non sentirsi sotto tiro, e questo è molto soggettivo. In più diventa assai più complicato da gestire per via di politici pronti a strumentalizzare tutto».
In che senso è soggettivo?
«Alla Columbia circa il 20% degli studenti sono ebrei e tra i docenti la percentuale è ancora più alta, dieci volte la percentuale di ebrei nella popolazione americana: non si può dire che sia un ambiente ostile agli ebrei. Ma è soggettivo se passare davanti a manifestanti che cantano “Intifada” sia minaccioso e crei un senso di insicurezza. Io personalmente non lo sento, ma magari altri sì. In più in un campus facilmente raggiungibile da 8 milioni di persone via metro, nel momento in cui si accende una situazione politica arrivano gruppi con ambizioni rivoluzionarie che si piazzano dentro, se possono, o fuori dai cancelli. E sono molto più estremisti: molti dei video e degli episodi in cui persone ebree si sono sentite insultate sono avvenuti fuori, non dentro tra studenti. Ma il pubblico generale non vede questa distinzione».
E tutto questo avviene in un contesto politico particolare.
«La destra americana ha sotto tiro le università, è pronta a saltare su qualsiasi episodio per screditarle. Fa comodo alla destra che in Stati dove governa ha eliminato dai curriculum interi programmi sul razzismo e forme di ingiustizia. Un paio di mesi fa le presidenti di Harvard e dell’università della Pennsylvania sono state fatte a pezzi dal comitato del Congresso che, almeno a parole, indaga sull’antisemitismo nei campus, e poi costrette alle dimissioni: hanno dato risposte molto generiche, caute, non convincenti, anche se la questione era mal posta (per esempio la deputata Elise Stefanik ha chiesto se, quando gli studenti invocano il genocidio degli ebrei, ciò sia contro le regole dell’università; ma in realtà non hanno invocato il genocidio degli ebrei, hanno gridato “Intifada”, quindi è un’interpretazione). Molto spesso quello che viene riportato sulla situazione qui è esagerato e falso: alcuni amici italiani, professori, erano meravigliati da quanto pacifiche fossero le manifestazioni sia propalestina che pro-israele, che non si disturbavano a vicenda. Mi hanno detto: “Caspita, se succedesse alla Sapienza ci sarebbero scontri e baruffe”. Ieri un senatore ha detto che serve la Guardia nazionale per riportare l’ordine, ma qui sembrava un picnic primaverile. Bisogna ricordare che molti studenti nell’accampamento sono ebrei di sinistra offesi dalla politica di Netanyahu e dalla morte di decine di migliaia di palestinesi».
Ci sono studenti pro-hamas?
«Non lo so. Ma quello che sento e vedo non sono slogan pro-hamas. È chiaro che “dal fiume al mare” può essere percepito come slogan di Hamas per l’azzeramento dello Stato di Israele oppure come affermazione di uno Stato in cui arabi e ebrei coabitino in uguaglianza. Dubito che questi giovani studenti facciano la distinzione, ripetono uno slogan che va per la maggiore. Non so se ci sia un dibattito sofisticato dietro. Ma le manifestazioni sono così. Quel che è complicato è il rapporto tra le persone fuori e gli studenti dentro, in genere sono cose diverse ma ci sono momenti di confine, capita che cantino in sincronia. Ma secondo me il problema principale è che siamo tutti pedine su una scacchiera di un gioco più grande. Se i miei colleghi votano la mozione di censura della presidente Shafik, è una vittoria per la libertà di espressione e accademica oppure la stiamo indebolendo in una lotta difficile con i repubblicani al Congresso? Non lo so».