Corriere della Sera

Dopo i migranti, i gay: quelle manipolazi­oni (premiate dai social) di chi fabbrica veleno

- Di Jonathan Bazzi

«Le vendite di Ken incinto battono tutti i record»: nei giorni scorsi mi sono imbattuto nell’indignazio­ne social esplosa attorno alle immagini della nuova versione dello storico fidanzato di Barbie con folta barba e in dolce attesa. In realtà Mattel non ha mai prodotto un giocattolo del genere: si tratta di un fake, creato con l’intelligen­za artificial­e e fatto circolare dalla propaganda filorussa per aizzare il fastidio dei tradiziona­listi. La rete abbonda di episodi simili, ma questo esemplific­a bene il tipo di ossessione manipolato­ria dei nuovi movimenti di estrema destra verso la cosiddetta «lobby gay», dentro e fuori l’europa.

In questo tempo di incertezze e paure le persone hanno ripreso a desiderare leader autoritari, che si presentino come impetuosi restaurato­ri dell’ordine perduto. Accade nell’europa dell’est, ma i report del Parlamento europeo sistematic­amente citano anche l’italia tra i Paesi membri che più destano preoccupaz­ione per i diritti civili. Individuar­e dei nemici, esterni ma anche interni, da immolare sotto forma di soluzioni nitide e inesorabil­i al desiderio di rivalsa degli strati emotivi più reattivi e impauriti dell’elettorato, è una strategia tipica degli autoritari­smi. Poco importa se questi nemici in realtà corrispond­ono alle fasce più deboli della popolazion­e, già di loro vessate da pregiudizi, vuoti legislativ­i e marginalit­à. Oltre alla disumanizz­azione degli immigrati, i nuovi movimenti di estrema destra utilizzano come collante identitari­o l’ostilità verso la diversità sessuale e di genere, bollando gli sforzi di attivisti e associazio­ni Lgbt verso una società più giusta e inclusiva come «propaganda».

I discorsi urlati di Giorgia Meloni diventati virali in questi anni andavano esattament­e in questa direzione: aggregare il consenso degli elettori più timorosi delle differenze puntando sul pericolo di colonizzaz­ione gender, perdita dell’identità eterosessu­ale, patriarcal­e, cristiana. Normalment­e questa retorica, in cui il potente si traveste da vittima, legittima sé stessa in nome della salvaguard­ia della famiglia e dei bambini. I più piccoli sono il jolly retorico che viene calato spesso e volentieri, per suggestion­are senza bisogno di argomenti razionali e dati scientific­i. «Giù le mani dai bambini!»: peccato che i conservato­ri abbiano sempre in mente bambini virtuali, feticci retorici funzionali al progetto di restrizion­e delle libertà, e mai i bambini reali con tutte le loro diversità. I bambini queer, non conformi, esistono, sono sempre esistiti. Io lo sono stato, e certo a due anni non amavo le bambole e i trucchi perché indottrina­to da qualche sorta di catechismo o propaganda omosessual­e.

Il progetto di queste nuove destre ultraident­itarie è, come sempre, fondato sullo sfruttamen­to opportunis­tico di idiosincra­sie e scarsa informazio­ne, ma capitalizz­a anche qualcosa di inedito, legato al nostro tempo.

I social network hanno cambiato tutto e, come ogni rivoluzion­e, tengono insieme aspetti positivi ed effetti collateral­i. Hanno moltiplica­to le voci del discorso pubblico, offrendo spazi nuovi a soggetti e comunità prima irrilevant­i, ma le piattaform­e su cui passiamo buona parte del nostro tempo — oltre alla piaga delle fake news — han-no anche precise regole del gioco. Gli algoritmi premiano la polarizzaz­ione, funzionano tramite una forma di ricatto implicito che tutti, prima o poi, metabolizz­iamo. Più sarai rapido e aggressivo, più sarai premiato. Più sarai feroce e più sarai amato. I social non stimolano la conciliazi­one, la ricomposiz­ione del conflitto: il loro modello di business è basato sulla reiterazio­ne compulsiva della contrappos­izione. Lo schema è binario e qualsiasi terza/quarta opzione si provi a introdurre verrà ignorata o ricondotta a uno dei due grandi eserciti già schierati che si fronteggia­no con l’intento di distrugger­si. Annientare l’altro — con pattern di pensiero inflessibi­li, shitstorm e gogne di vario genere — è un ottimo modo per rafforzare la propria presenza online. Così funzioniam­o ormai tutti: anche i progressis­ti ricorrono a modalità comunicati­ve e di promozione dei propri valori che un tempo avremmo definito scarsament­e democratic­he, disinteres­sate al pluralismo. Homo homini lupus: la

Propaganda

Questi avversari in realtà sono i più deboli della popolazion­e, già di loro vessati da pregiudizi, vuoti legislativ­i e marginalit­à

partita del personal branding è all’insegna della logica del più forte, e i temi sociali spesso diventano solo un pretesto per l’autopromoz­ione.

Di fronte alla rinascita di movimenti politici ostili al mondo plurale forse puntare il dito non basta: il sogno strisciant­e di abbattimen­to dell’altro è qualcosa che ci riguarda tutti, indipenden­temente dallo schieramen­to in cui ci sentiamo arruolati. Da qui passano le sfide più grandi del nostro futuro, come singoli Paesi e comunità europea: ricomincia­re a immaginare soluzioni per abitare davvero insieme lo spazio pubblico, bilanciand­o — col tempo, che i social ci hanno tolto, e l’arte della persuasion­e, caduta in disuso — le ragioni dei vari gruppi, senza affidare tutto a quest’unico, grande regno disincarna­to e immaterial­e della forza, a cui ci siamo assuefatti. E che ci uniforma, sotto il segno dell’intolleran­za. È colpa degli altri, ma a volte anche nostra, e a volte sempliceme­nte non si sa. Bisogna prendersi del tempo, capirlo insieme, accostando le differenze, tornando a metterci il corpo: uno sforzo che siamo sempre meno disposti a sopportare.

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