Corriere della Sera

Hashimi sorelle in fuga staccati i talebani pedalano verso i Giochi

Fariba e Yulduz a Parigi con la bandiera afghana

- Di Marco Bonarrigo

Il 27 agosto 2021 Fariba e Yulduz Hashimi, 21 e 23 anni, figlie di un pediatra afghano di etnia uzbeka, fuggono da Kabul in fiamme con un volo umanitario in direzione Fiumicino. Colpevoli di essere donne e cicliste, insultate e minacciate (un fratello ucciso brutalment­e dai talebani, il padre rapito e liberato dopo pagamento di riscatto), le sorelle arrivano in Veneto grazie alla mediazione dell’ex campioness­a del mondo Alessandra Cappellott­o e dell’associazio­ne Road To Equality. Accolte in un team bergamasco, la Valcar, imparano l’italiano e le regole della bici. Un anno dopo, stravinto (prima e seconda) il campionato nazionale disputato in esilio in Svizzera, ricevono ai piedi del podio la proposta che cambia la vita per chi ha rischiato la lapidazion­e mentre pedalava: un contratto nel team profession­istico Israel Roland garantito dal miliardari­o canadese Sylvan Adams con la promessa (forse un po’ avventata) di debuttare al Tour de France.

Il sogno dura poco: Adams lascia al suo destino la Roland, le sorelle Hashimi — senza squadra, senza bici e senza più status di rifugiate — devono trovarsi un lavoro. Ma nel pur breve girovagare per correre (Scozia, Cina, Germania, Thailandia) qualcuno ha capito che queste due ragazzine alte e magre che in patria avevano gareggiato solo su strade sterrate con bici di seconda mano sono atlete vere e con motivazion­i feroci. E così lo scorso anno l’unione Ciclistica Internazio­nale propone a Fariba e Yulduz vitto e alloggio nel centro federale del Canton Ticino, bici, coach e direttore sportivo e una borsa di 400 euro al mese. Sotto altra forma, il sogno continua.

Dopo un inverno di lavoro durissimo assieme a tante colleghe di paesi in via di sviluppo Fariba, scalatrice, ha debuttato a marzo in Liguria, è arrivata quarta al Gp Ticino e ha vinto due volte il gran premio della montagna al Giro del Mediterran­eo Rosa, corsa di prima fascia tra Campania e Puglia.

Ieri a Roma, nello storico Trofeo Liberazion­e, Yulduz è rimasta nella scia delle profession­iste della Uae Team, versione femminile della squadra del marziano Tadej Pogacar, battuta solo da atlete come la campioness­a europea e mondiale Chiara Consonni e dal bronzo iridato Silvia Persico.

Passando attraverso il Giro della Bretagna (maggio) e i campionati asiatici in Kazakistan (giugno), il futuro prossimo di Yulduz e Fariba ha un obiettivo ambizioso e complicato: i Giochi di Parigi. Il Comitato Olimpico Internazio­nale non riconosce quello occupato dai talebani ma tratta (senza successo, al momento) con gli occupanti per garantire il diritto allo sport delle donne, sostiene i dirigenti in esilio e vorrebbe portare la delegazion­e afghana alla cerimonia olimpica: le due sorelle Hashimi sono forse le sole rifugiate all’estero in grado di partecipar­e. A opporsi alla loro presenza, paradossal­mente, è l’ex judoka Friba Rezayee, prima donna a rappresent­are la nazione ai Giochi del 2024. «La brutalità dei talebani nei confronti delle donne — spiega Rezayee, che vive in Canada ed è leader dell’associazio­ne Girls of Afghanista­n Lead — non può permetterc­i di sfilare con nome e bandiera del nostro Paese. Il nostro posto è nel Team Olimpico dei Rifugiati».

Il Cio sta prendendo tempo: i conservato­ri (che nel consesso olimpico abbondano) spingono per la soluzione morbida dei rifugiati, i progressis­ti credono che far sfilare delle ragazze sfuggite a violenza, ricatti, minacce e botte lungo la Senna il prossimo 26 luglio sarebbe un fenomenale messaggio di solidariet­à alle afgane prigionier­e in patria e private di ogni diritto.

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21 e 23 anni, puntano a rappresent­are il loro Paese alla prossima Olimpiade di Parigi
Afghane Fariba e Yulduz Hashimi, 21 e 23 anni, puntano a rappresent­are il loro Paese alla prossima Olimpiade di Parigi

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