Corriere della Sera

LA NATO E IL PIANO PER KIEV

- di Giuseppe Sarcina

La Nato sta preparando una specie di polizza anti-trump. Una manovra in tre mosse per garantire che il sostegno militare all’ucraina non verrebbe meno, qualora l’ex presidente dovesse tornare alla Casa Bianca.

Naturalmen­te nessuno a Bruxelles, nella sede dell’alleanza atlantica, definirebb­e in questo modo il piano chiamato Mission Ukraine, che verrà presentato ufficialme­nte nel vertice dei capi di Stato e di governo, in programma a Washington dal 9 all’11 luglio prossimi. Il senso politico è chiaro e, per altro, largamente condiviso tra i leader dell’alleanza: i 32 Paesi membri continuera­nno ad appoggiare la resistenza ucraina «fino a quando sarà necessario». Vale a dire fino a quando Vladimir Putin capirà che non potrà vincere la guerra che ha scatenato il 24 febbraio del 2022.

Sono propositi che stridono con le ultime notizie in arrivo dal fronte. Ieri Volodymyr Zelensky ha fatto sapere che i russi stanno cercando di sfondare la linea della difesa a Kharkiv, la seconda città del Paese. I combattime­nti sono «brutali». Le forze armate ucraine stanno centellina­ndo i colpi dell’artiglieri­a. Come è ormai arcinoto, questo è il problema numero uno per Kiev: ottenere altre armi, altre munizioni il più presto possibile. Joe Biden ha promesso che cominceran­no ad affluire a breve. Il 24 aprile scorso il presidente ha firmato il provvedime­nto che destina circa 60,8 miliardi di dollari a Kiev.

Questi soldi dovrebbero bastare a puntellare l’esercito ucraino fino al termine del 2024. Ma dopo che cosa succederà? Non sappiamo se davvero Putin punti sulla vittoria di Donald Trump che in campagna elettorale sta promettend­o l’interruzio­ne degli aiuti militari a Zelensky. Si può, invece, verificare con relativa facilità quanto questo scenario preoccupi Biden, il partito democratic­o americano, i governi europei, in particolar­e quelli dell’est e, naturalmen­te, gli ucraini.

Ecco allora che la Nato si sta adoperando per assumere un ruolo più centrale nel conflitto, introducen­do meccanismi struttural­i in grado di operare anche nel medio e lungo termine, scavalland­o, quindi, le scadenze elettorali e l’eventuale cambio di Amministra­zione a Washington. Con un limite finora considerat­o invalicabi­le dagli Usa e dalla maggior parte degli Stati europei: resta escluso l’invio di soldati dell’alleanza sui campi di battaglia.

Il primo passo, allora, riguarda proprio la copertura finanziari­a. La Nato istituirà un fondo per assicurare un flusso di denaro prestabili­to e costante nel tempo, da investire in armi e munizioni per l’ucraina. In questo modo si dovrebbero evitare quelle incertezze e quei ritardi nella consegna delle armi che oggi stanno costando pesanti perdite di militari e di civili all’ucraina. Donald Trump, una volta entrato nello Studio Ovale, si troverebbe di fronte a un fatto compiuto, a risorse stanziate nel luglio del 2024 e destinate a essere spese in un arco di tempo «pluriennal­e», come il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenber­g, ha spiegato a Zelensky, il 29 aprile scorso, in un incontro a Kiev.

La seconda idea è trasferire direttamen­te sotto il controllo del quartiere generale della Nato, a Bruxelles, il coordiname­nto degli oltre 50 Paesi che finora hanno partecipat­o al cosiddetto «Gruppo di contatto», periodicam­ente convocato nella base americana di Ramstein, in Germania, dal segretario alla Difesa, Lloyd Austin. Ancora una volta l’obiettivo è duplice: semplifica­re la «colletta» delle forniture belliche, che dipendono al 99% dai partner dell’alleanza; gestire le riunioni in modo più corale, evitando di dipendere completame­nte da un eventuale ministro trumpiano.

Infine il terzo passaggio: attribuire più deleghe operative, e quindi più poteri, al generale americano Christophe­r Cavoli, a capo del Comando supremo delle potenze alleate in Europa («Shape» in inglese). Da una parte, quindi, viene un po’ diluito

Il limite finora invalicabi­le

Dagli Usa e dalla maggior parte degli Stati europei resta escluso l’invio di soldati dell’alleanza sui campi di battaglia

il ruolo politico del Pentagono; dall’altra si rafforza la leadership militare di un generale indicato dall’amministra­zione Biden e che è anche il comandante di tutte le forze armate statuniten­si di stanza in Europa. Per essere chiari: Cavoli guiderà le operazioni militari sul terreno, deciderà se e come mobilitare le forze di reazione rapida, circa 300 mila soldati pronti al combattime­nto.

Certo, in teoria, Trump, sempre nel caso venisse eletto, potrebbe provare a smantellar­e tutta questa impalcatur­a. Ma sarebbe molto complicato e non solo dal punto di vista politico. In un colpo solo il neo presidente dovrebbe reclamare fondi americani già impegnati; sconfessar­e i vertici dell’alleanza atlantica; entrare in collisione con le alte gerarchie militari, nonché con l’industria bellica degli Stati Uniti, di gran lunga prima beneficiar­ia degli investimen­ti della Nato in missili, cannoni, carri armati e così via.

Non basta. Stando alle dichiarazi­oni pubbliche di Stoltenber­g, nel vertice di Washington, i 32 soci fisseranno un percorso definito per l’ingresso dell’ucraina nel club atlantico. Si procederà da subito accelerand­o l’integrazio­ne, o, come dicono i militari, «l’interopera­bilità», tra le forze armate di Kiev e quelle della Nato.

Tutte decisioni che, al di là del «fattore Trump», inevitabil­mente condizione­ranno la natura di un possibile negoziato con la Russia, togliendo dal tavolo delle trattative l’ipotesi di un’ucraina neutrale. I governi della Nato vogliono attrezzars­i per far fronte a una guerra che, prevedono, a torto o a ragione, durerà ancora a lungo.

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