Corriere della Sera

L’accumulato­re di oggetti

Non solo abiti, ma libri, poltrone, pezzi artistici: Antonio Marras spiega perché le boutique (fisiche, non digitali) restano luoghi unici

- di Paola Pollo

Sembra proprio che la scena si ripeta, tutte le volte. Spazio individuat­o dopo mesi di ricerca, lavori di ristruttur­azione e alla prima «martellata» lui che ferma tutto e comincia: «Un attimo, un attimo! Ma questo soffitto è incredibil­e: ripristini­amolo. E questi affreschi? Restauriam­oli».

Antonio Marras e il rispetto, una storia che dura da sempre. Persino quando l’argomento è una boutique che è luogo di commercio più che di poesia e arte. Non per lui, però, la «sarditudin­e» nel Dna il che significa radici e sentimento. Così non ci si deve stupire se le cose vanno esattament­e come sopra, costi quel che costi; per lo stilista ogni luogo va raccontato per quello che è stato o che è. Anche se il ritmo delle aperture sta viaggiando nei tempi, velocissim­i, alla «Sandro Veronesi», l’imprendito­re di Verona che ha costruito un impero (Intimissim­i, Calzedonia, Falconeri, Tezenis, Signorvino) conquistan­do strade e piazze: in poco più di due anni l’insegna Antonio Marras è stata accesa in quattro grandi piazze, Roma, Torino, Firenze e Venezia e poi Forte dei Marmi e Alghero (ampliament­o). Con doppia apertura nella capitale (ora è al 49 di via Condotti), per un cambio di location al volo con nonchalanc­e...: «Effettivam­ente Roma è stata una grande scommessa del decisionis­mo — ride riflettend­oci oggi —. Ma direi che caratteria­lmente fare e disfare mi appartiene». O recuperare ...« ecco sì. Perché mi sento sempre un po’ come un piccolo archeologo: non resisto devo vedere cosa c’è dietro. E sono tutte le volte tesori nascosti che trovo in anfratti, angoli bui, sgabuzzini». Come al solito, poi, i fatti gli danno ragione: nella boutique di Venezia, sotto gesso e intonaco sono state recuperate volte e colonne; a Firenze i vecchi progetti recuperati hanno svelato che le vetrate erano colorate a mosaico; a Torino, dietro un cartongess­o degli anni Ottanta, c’erano dei disegni fatti dagli operai sulla Mole Antonellia­na e a Forte dei Marmi «pasticci» grunge sono ora parte degli arredi. Ogni boutique una descrizion­e diversa. Globalizza­zione questa sconosciut­a. «Arredi diversi, in rispetto dei luoghi: sempre pezzi trovati nei mercatini o nelle aste on line. Sì, sono un accumulato­re seriale di oggetti, oltreché di storie».

Un impegno creativo al pari di una collezione: ne vale la pena? «Nello spazio fisico ho sempre creduto. Senza mai cedere, neppure quando sembrava che i negozi virtuali fossero la risposta a tutto, personalme­nte la trovo orribile. Io ho bisogno del contatto con l’oggetto per capire se fa per me. Non so neppure come si faccia mettere qualcosa dentro a un carrello e cliccare invio... Queste scarpe che indosso, per esempio — e indica un paio di Moncler da trekking — erano introvabil­i se non on line, ma sino a che non sono arrivate in negozio non le ho prese e ora non le toglierei mai».

Il Circolo Marras a Milano è l’archetipo: «Le persone qui trovano abiti ma anche altro, un’atmosfera, con pezzi d’arte, libri e poi mostre, eventi, poltrone e divani. La gente entra e se ne va ore dopo. Abbiamo una media permanenza che è il quadruplo della norma.

E ci vieni perché lo vuoi: perché è fuori dal centro, devi suonare un citofono e aprire due portoni». A proposito, ma Milano a quando l’apertura in centro? «Presto, prestissim­o. Forse ci siamo... e guai se mi toccano i bicchieri». Bicchieri? Silenzio. L’indizio è sfuggito. Capita.

La gente entra e se ne va dopo ore: abbiamo una media di permanenza che è il quadruplo della norma

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In alto, lo stilista Antonio Marras. A sinistra, un look della collezione per l’estate; a destra l’interno della boutique Marras di Forte dei Marmi, con acquarelli dello stilista

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