Case progettate. Per essere spontanee
In un libro la carriera da interior designer di Diana Terragni. «Si vive bene in stanze dalla giusta proporzione»
Diana Terragni, interior designer, è persona riservata e poco incline al mettersi sul palcoscenico. Non ha un account Instagram, mai ha proposto una sua casa ai giornali per la pubblicazione — precisa lei stessa — e persino il volume uscito da poco Diana Terragni. Architetture e interni (Rizzoli, foto Mattia Aquiia, testi Elena Cattaneo, pag. 224, 70 euro) già dalla sobrietà del titolo lascia intuire quale sia la peculiarità delle case che lei ha realizzato in oltre 30 anni di attività.
Uno stile che, facendo scorrere le pagine, stile non è. Perché le abitazioni si presentano come degli interni di famiglia: caldi nella loro capacità di apparire accoglienti e confortevoli, ma senza rinunciare all’eleganza e alla ricercatezza di arredi e opere d’arte. Case vere, che sembrano recare le tracce di vita vissuta dei proprietari. Invece, scopriamo parlando con la interior designer, sono risultato di un minuzioso lavoro di riprogettazione degli spazi, prioritario all’innesto degli oggetti. Da cui l’effetto «spontaneo», paradossalmente, deriva.
«Le stanze devono essere armoniche, equilibrate nelle dimensioni: mai per esempio una stretta e lunga. Perché solo quando le proporzioni sono giuste, in una casa si sta bene», premette Terragni di quello che rappresenta un credo, diventato il filo conduttore di tutti i suoi interni. Infatti, ci racconta, le case del libro sono tutte create da zero: «È la conditio sine qua non: chi mi commissiona una casa sa che non salvo mai niente. L’esempio più eclatante è la mia», racconta del suo appartamento (presente nel volume), in un palazzo ‘700esco nel centro di Milano. «Sono in affitto ma i proprietari, miei amici, mi hanno dato carta bianca: ho demolito tutto, arrivando al massetto. Spostando persino la porta di ingresso», racconta di una casa che, guardando le immagini, sembra enorme, ma invece ha un taglio medio di circa 100 metri quadrati. Merito delle porte collocate a cannocchiale tra una stanza e l’altra, dell’eliminazione dei corridoi e di due artifici che lei adotta sempre: «Vicino a ogni porta colloco una finestra, così la luce accentua le aperture. E poi faccio grande uso di pareti di specchio: creano punti di vista sempre diversi».
La luce e l’esterno sono la sua ossessione. Lo evidenziano perfettamente gli scatti della casa con vista sul parco della Villa Reale a Milano, le cui finestre, rigorosamente senza tende («Non le uso quasi mai, se non i saliscendi a rullo giapponesi», dice) lasciano entrare la vegetazione, riprodotta poi su alcune pareti come trompe l’oeil: «Li ha realizzati Alberto Andreis, scenografo e autore anche dei bozzetti che uso per mostrare ai miei clienti come trasformerò la loro casa», spiega raccontando di questa collaborazione che le evita i rendering: «Li odio…». Altra sua scarsa passione, rivela, è l’arredamento: «In genere mi chiedono di occuparmene. Ma
"L’attenzione per la luce
«Creo da zero, i clienti sanno che non salvo mai niente. Finestre vicino alle porte e grandi specchi
dei pezzi che il cliente ha già, non entro mai nel merito. La casa è la sua». Ama i mobili antichi cinesi e giapponesi, ma anche italiani e francesi («Però solo quelli freschi ed eleganti»), scelti con amici antiquari d’oltralpe. Più complicata la relazione con il «custom», così caro agli architetti-arredatori: «Disegno solo se non c’è quello che mi serve. Mi piace farlo se si tratta per esempio di un tavolo, ma il resto tendo a farlo “sparire”, soprattutto gli armadi. Salvo solo le librerie, ma poco disegnate: troppo non serve».
Eppure il suo gusto è ben preciso (qualche volta, se il cliente vuole, sconfina nel commissionare pezzi d’arte ad hoc) ma assolutamente innato: «Mio padre era un generale, nella mia famiglia sono tutti magistrati. Io stessa avrei fatto l’avvocato, ma disegnavo benissimo e fin da piccola tutti mi dicevano che avevo un talento da architetto». Forse è a questo stacco culturale dal mondo del progetto che si deve il suo approccio diverso. Di cui non fa mistero di essere orgogliosa: «Credo che oggi le persone non abbiano più voglia di case tutte simili, nello stile dell’architetto del momento», conclude. «Può cambiare nel colore o negli oggetti, ma una casa deve saper attraversare il tempo e non stancare mai». Lontano dalle mode (e vicino a chi la abita).