Corriere della Sera

Don Winslow: amo gli eroi silenziosi, Trump teppistell­o

L’autore di «Città in rovine» (Harpercoll­ins) riflette sulla sua America e sulle comunità che lo ispirano, sui leader e sui valori, sulla corsa e sulla narrativa

- da uno dei nostri inviati Carlo Baroni

TORINO C’è un’america che si racconta senza aggettivi. Solo guardandol­a. Don Winslow lo sa fare. Città in rovine chiude la trilogia di Danny Ryan. Un eroe che forse gli assomiglia. Nell’approccio all’esistenza, nel disincanto verso il Paese che lo attrae e lo respinge. In quell’essere americano che sa ancora di frontiera. Di spazi da raggiunger­e piuttosto che da conquistar­e. Di pagine che si scrivono da sole, basta annusare il vento. E prenderne la scia.

Conta più il talento o la passione per diventare uno scrittore di successo?

«La passione. Se non c’è passione, allora il talento non servirà a nulla. Se hai dieci di talento e otto di passione, vince sempre e soltanto la seconda».

E nella vita?

«Ancora la passione. Non c’è partita».

Lei ama correre. È un modo per scappare o per andare verso qualcosa?

«Oddio. In realtà ormai più che correre cammino. Ma il principio è lo stesso. E vale per un’altra attività fisica che pratico, il nuoto. Che cosa succede quando corri (cammini) o nuoti?».

Che cosa succede?

«C’è un ritmo simile a quello della scrittura. Una sorta di metrica. Scandisci il tempo con i tuoi passi o le tue bracciate. Quando corro o nuoto io parlo con me stesso. Intavolo dialoghi. I miei libri nascono così. Correre mi ispira, mi fa nascere idee, storie»

Come affronta il rifiuto?

«Mi è successo tante volte all’inizio di questo mestiere. Mi rifiutaron­o qualcosa come quindici editori. Tante volte mi hanno detto di lasciar perdere. E sa che cosa ho fatto?»

Ci ha riprovato.

«Proprio così. Pensavo: sono loro che si sbagliano. Il rifiuto mi dava una motivazion­e in più. “Perché non mi capiscono?”, mi chiedevo».

Che cos’è il Male?

«È la scelta deliberata di ferire un altro».

Nei suoi romanzi i protagonis­ti non sono quasi mai «wasp», i bianchi anglosasso­ni protestant­i padroni del Paese: al centro ci sono le comunità di latinos, di irlandesi, di italiani.

«Il primo elemento comune che mi viene in mente è che sono tre culture di matrice cattolica. E anch’io ho questa matrice. Ci sono nato e cresciuto. Ma in questo caso contano gli argomenti delle storie che ho scelto di scrivere. Quando ho pensato a una trilogia sui narcos era inevitabil­e raccontare la comunità messicana che soffre questo problema. Scrivere del Dipartimen­to di polizia di New York significa accendere i fari sulle famiglie irlandesi piene di uomini e donne in divisa. E così per la mafia per

una certa comunità di italiani. Senza cadere negli stereotipi».

Lei parla degli ultimi, delle persone messe ai margini. Costrette, talvolta, a delinquere. Temi cari a John Steinbeck.

«Il paragone è ardito. Devo prendere le distanze da una leggenda come Steinbeck. Non sono alla sua altezza. Sinceramen­te. Non riuscirei mai a scrivere come lui. Le mie sono storie del crimine scritte il meglio che posso. Se poi i miei romanzi hanno ricadute sociali non posso che esserne contento».

Nella nuova trilogia il protagonis­ta ricorda Enea.

«È un archetipo di tutti i tempi. Forse si adatta bene all’american way of life. Dell’uomo che si realizza da solo. Che nasce povero e diventa milionario».

Anche Donald Trump è diventato ricchissim­o.

«Lui è un teppistell­o. Niente di eroico».

Vede qualche Enea in questo mondo?

«Se c’è non lo conosco».

«Città in rovine» sarà il suo ultimo libro. Ma uno scrittore va in pensione?

«Non ho ancora fatto un piano pensionist­ico... Però con i diritti in tv e al cinema dei miei libri ho messo da parte qualche soldo... Penso di riuscire a cavarmela. Continuerò a scrivere. Ma in maniera diversa».

Chi ammira oggi?

«Il Dalai Lama. Bruce Springstee­n. Michelle e Barack Obama. Joe Biden. Sì, sono convinto che la sua elezione sia stata un bel segnale per il Paese. Poi ci sono gli altri».

Chi sono?

«La gente sconosciut­a che non appare sui giornali. Gli eroi silenziosi. Persone che ammiro. Posso citare uno scrittore che invidio?»

Certo.

«Richard Russo (vincitore del Pulitzer nel 2002, ndr): vorrei avere la sua verve e capacità di raccontare».

Consigli a un aspirante romanziere?

«Leggi, leggi, leggi. E scrivi, scrivi, scrivi. Solo se leggi puoi migliorare. Lotta e non arrenderti. E questo vale anche per la vita».

Che cosa sta succedendo all’ America oggi?

«Quanto tempo ho per rispondere?»

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Don Winslow (New York, 1953), ex investigat­ore privato, ha scritto ventidue romanzi, diventati bestseller mondiali
Da New York al mondo Don Winslow (New York, 1953), ex investigat­ore privato, ha scritto ventidue romanzi, diventati bestseller mondiali

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