«Le donne forti al cinema? È retorica lontana dalla realtà»
Virginie Efira: le registe non hanno gli stessi budget dei colleghi maschi
Niente da perdere. Il coraggio di Blanche. È solo un caso che i due film si trovino contemporaneamente nelle sale italiane (uno, di Delphine Deloget, in arrivo il 16 maggio, il secondo, di Valerie Donzelli, già nelle sale). Ma questi titoli sembrano fatti apposta per descrivere la loro protagonista, Virginie Efira. Niente da perdere: lo sa bene chi, come lei, belga ma ormai adottata dal cinema francese, al successo e alla stima della critica è arrivata dopo una lunga gavetta, iniziata come conduttrice tv. Il coraggio lo ha dimostrato spesso, per esempio accettando il ruolo di Benedetta Carlini, la suora accusata alla fine del XVII secolo di omosessualità e eresia, nella ricostruzione fantasiosa e libertaria di Paul Verhoeven. E anche «rigettando la retorica sui personaggi femminili, obbligati a farsi supereroine della contemporaneità. Mi sembra una nuova gabbia, lontana dalle realtà. Cerco personaggi che abbiano senso, che aiutino me e il pubblico a capire delle cose della vita. Il cinema può fare la sua parte, sempre».
Per esempio, raccontando una storia come quella di Sylvie in Niente da perdere: madre single di Sofiane e Jeanjacques, una quotidianità scandita da difficoltà economiche e dalla voglia di non rinunciare a sogni e libertà. Ma messa a rischio — dopo che una notte, mentre lei è al lavoro, il più piccolo si ferisce gravemente — di perderne la custodia.
Un film dalla gestazione lunghissima, quattro anni. «Delphine arriva dal documentario, a un certo punto non si riusciva a trovare la produzione, non era giudicato abbastanza commerciale. Ma ci tenevo, ho amato la sceneggiatura e l’ho portata da un produttore. La protagonista è una donna dalla vita complicata ma che prova a fare le cose a modo suo, a rischio di non essere capita. Tutti gli dicono cosa fare ma lei non vuole subire, vuole reagire, usare la sua energia per non soccombere».
Deloget le ha consigliato di studiare Qualcuno volò sul nido del cuculo. «Mi ha suggerito di ispirarmi alle scene in cui Jack Nicholson cerca di controllarsi, restare calmo. Ma Sylvie ha qualcosa anche delle eroine di Ken Loach. E di Gena Rowlands, una delle mie attrici del cuore, capace di comunicare umanità in ogni cosa che ha fatto. Sogno di fare lo stesso».
Anche la protagonista de Il coraggio di Blanche trova la forza in sé stessa. «La questione della violenza domestica è attualissima in Francia, spesso le donne non vengono credute. Anche lei è una madre e reagisce pensando che i figli non debbano subirne gli effetti. Il film descrive bene la violenza fisica ma anche quella verbale, economica, psicologia, il tentativo del marito di demolirla in tutti in sensi. Valerie Donzelli si è ispirata a un libro su un femminicidio, ma ha cambiato il finale. Proprio per sottolineare che se ne può uscire».
Non si è fermata un attimo Efira: qualcosa come 17 film negli ultimi anni, più della metà con registe. Riabbracciare Parigi l’è valso il César. «Non ha cambiato le mie scelte. Arrivare al successo tardi aiuta a guardare tutto con più distacco. Certo mi fa piacere ma non quanto, per esempio, l’idea di girare un giorno con Marco Bellocchio, uno dei miei registi preferiti, libero e vibrante come pochi. È vero ho girato spesso con registe, ce ne sono tante in Francia ma il problema è che non hanno gli stessi budget dei colleghi maschi». Alcuni incontri sono stati folgoranti, dice. «Con Justine Triet, da Victoria in poi, un vero colpo di fulmine artistico. Con Rebecca Zlotowski ma pure con Paul Verhoeven che è la prova vivente che non serve essere donna per raccontare in modo intelligente il femminile».
Cosa l’aspetta? «Ho sempre voglia di cambiare, non mi interessa ripetermi. Un film in Italia? Perché no?».
Il film
In «Niente da perdere» sono una madre dalla vita difficile che prova a fare le cose a modo suo