Un tesoro sulle Dolomiti
Riapre mercoledì il museo geologico di Predazzo Un viaggio fra fossili marini e racconti di montagna
In principio era la Nave d’oro. Fu nelle stanze dell’albergo della famiglia Giacomelli, demolito una cinquantina di anni fa, che si consumarono i fasti della geologia moderna. Le inspiegabili bizzarrie della sua configurazione geologica fecero di Predazzo, nel corso dell’Ottocento, il centro più famoso dell’intero arco alpino, meta privilegiata della ricerca geologica mondiale: la Nave d’oro diventò luogo di soggiorno e dibattito per decine di scienziati, da Giuseppe Marzari Pencati a Wilhelm von Humboldt. Sono le loro ombre, proiettate sulle pareti in legno di una stube come poteva essere quella dell’albergo, ad accogliere i visitatori nelle sale, completamente rinnovate, del museo geologico delle Dolomiti, che mercoledì prossimo, dopo sei mesi di lavori, riaprirà al pubblico.
L’equazione è presto fatta. Se la geologia moderna nasce in val di Fiemme con la formazione di una nuova teoria sull’origine delle montagne (magmi vulcanici fuoriescono continuamente dalle profondità della Terra e penetrano negli strati rocciosi preesistenti), allora risultato del fermento culturale e della forte attenzione dedicata ai suoi territori non poteva che essere anche un museo il quale, nato nel 1899, ambisce oggi a raccontare la storia delle Dolomiti di Fiemme e Fassa e il loro millenario rapporto con il territorio.
Sede territoriale del Muse dal 2012, che ne gestisce le attività con una dotazione fissa di 50.000 euro all’anno nel finanziamento ordinario, il museo geologico riapre in una veste completamente rinnovata: prendendo corpo attorno alla ricostruzione evocativa del luogo culla di riflessioni e nuove teorie sulla formazione delle rocce, il progetto espositivo consente ai visitatori di sfogliare i registri dell’albergo storico (donati al museo dai Giacomelli e in esposizione il giorno dell’inaugurazione) in versione multimediale e interattiva, per immergersi innanzitutto nel clima culturale di allora e nella sua atmosfera cosmopolita.
L’odore del legno ancora invade le stanze del museo mentre si getta uno sguardo ai pannelli che descrivono l’articolarsi attuale delle Dolomiti patrimonio dell’umanità, il loro contributo centrale nella nascita del pensiero scientifico, le motivazioni e i criteri sui quali si basa il loro valore universale. Dai monitor le parole di chi fra i monti pallidi vive e di essi ha fatto il proprio luogo di lavoro.
È sempre l’olfatto che accompagna e guida verso il piano terra, che accoglie i visitatori con gli aromi delle vallate dolomitiche grazie al profumo del Cirmolo che si spande dall’architettura che costeggia le scale. Gli architetti Rudy Barnaba e Luca Valentini, guidati dalle indicazioni di Riccardo Tomasoni, Massimo Bernardi e Marco Avanzini, geologi e paleontologi del Muse che hanno curato l’allestimento, hanno ricreato un ambiente moderno ma caldo, geometrico e armonioso al tempo stesso: sul bianco dei muri i profili delle vette che corrono intorno a Predazzo, come se li si guardasse da mille metri di altezza; al centro della stanza cinque isole, fra legno e vetro, dedicate ai gruppi montuosi di Fiemme e Fassa, Lagorai, Latemar, Catinaccio, Sella, Marmolada e Monzoni.
«Questa è la chiave delle Alpi — scriveva il geologo e paleontologo tedesco Leopold von Buch — sede dei fenomeni geologici più svariati e meravigliosi»: ma quello che si compie al museo di Predazzo è un viaggio dentro e fuori le montagne, dentro quanto custodiscono, conservano e restituiscono (i fossili marini ad esempio, il museo ne conserva almeno 15.000 o la flora fossile intrappolata nella cenere e cristallizzata nel tempo), ma anche attraverso le forme, i colori e le storie umane.
Non mancano, all’interno della struttura, un sala per le mostre temporanee, lo spazio per le attività didattiche, sale di ricerca e laboratori per la lavorazione dei materiali. Scrigno di tesori dal valore indescrivibile la collezione geologica del museo, un patrimonio di oltre 12.000 esemplari (e almeno 20.000 sono quelli non ancora catalogati) e la biblioteca, che custodisce più di 12.000 volumi, alcuni introvabili, e ospita la collezione della Società paleontologica italiana, affidata alla gestione del Muse nel 2014.
I numeri La sede espositiva preserva oltre 12.000 reperti e migliaia di testi storici