Gli scrittori tedeschi divisi sulla GUERRA
Il libro Scissione nel mondo culturale germanico e austriaco nell’ultimo lavoro di Battafarano tra pro e contra bellum L’intellettuale Kraus condannò l’esibizione di Battisti morto
Una delle più interessanti categorie della recente storiografia europea sulla Grande Guerra è «mobilitazione culturale». Si intende con essa fare riferimento alla spontanea adesione degli intellettuali all’idea che la scelta delle armi nel 1914 non fosse solo inevitabile, ma giusta, in nome delle esigenze sacre della patria. Nel suo ultimo volume, Cantori e critici tedeschi della Grande Guerra (Scorpione 2015), che verrà presentato al Museo Storico di Trento lunedì 12, Italo Battafarano suggerisce che il «tradimento dei chierici», come lo definì Julien Benda nel 1927, fosse meno diffuso di quanto generalmente si pensi proprio tra gli esponenti della cultura di lingua tedesca, che più di altri avrebbero dovuto (almeno in teoria) appoggiare la santità del conflitto. Con ciò, l’autore non vuole negare che nel 1914 larga parte dei protagonisti del campo culturale si siano schierati a favore della scelta della guerra e parla, in proposito, di una «metafisica bellica».
«Le motivazioni della necessità della guerra» sostiene Battafarano «si fondavano su una concezione religiosa della sua necessità e giustezza. «Dio è con noi» (Gott mit uns) si diceva già nella Prima Guerra Mondiale, e lo si scrisse poi anche sulle cinture delle SS nella Seconda Guerra Mondiale. E, lo si dice ancora oggi quando si vuole avviare una guerra. Un secolo fa la motivazione religiosa permetteva di intendere il ricorso alle armi come se fosse una missione, qualcosa di sacro, ovvero il dovere di difendere il focolare e la famiglia oppure il diritto di portare la civiltà ai popoli meno sviluppati, da sottomettere e civilizzare».
Nel volume le posizioni degli intellettuali sono articolate in due fazioni distinte, pro bellum e contra bellum. La cultura di lingua tedesca era meno bellicista di quanto comunemente si pensi?
«La cultura tedesca fu certamente scissa allo scoppio della guerra e tale rimase per tutta la sua durata. Questa scissione in due campi contrapposti vide per esempio i due fratelli Heinrich e Thomas Mann su fronti polemici alternativi. Non fu secondaria nella formazione del fronte interno antibellico che portò nell’autunno del 1918 alle rivoluzioni di Kiel, Berlino e Monaco, costringendo l’imperatore ad abdicare e il governo provvisorio a sottoscrivere l’armistizio. Tracce di questa tradizione antibellica si ritrovano anche nella parte più vivace della cultura della Repubblica di Weimar».
Viene dedicato molto più spazio agli scrittori tedeschi e austriaci che furono contro la guerra, mettendo in primo piano soprattutto Arthur Schnitzler e Karl Kraus...
«Non è un caso. Essi sono quelli che non ebbero mai alcuna incertezza nel rifiutare la guerra. Schnitzler scrisse nel suo diario, fin dal primo giorno, che quella guerra sarebbe stata “una rovina mondiale”. Annotò la diffusione dell’antisemitismo in guerra, osservò da medico oltre che da scrittore la dispersione fisica e morale dei suoi connazionali, rimarcò come le categorie di amiconemico riducessero il pensiero a semplificazioni inammissibili, fu accusato pubblicamente di essere rimasto autore decadente, interessato alle perversità umane e non ai valori patriottici, fu diffamato nella stampa internazionale, ma non cambiò mai opinione sulla guerra come esperienza negativa».
Kraus occupa lo spazio maggiore nel libro che riporta in copertina la foto di Cesare Battisti appena impiccato, posta già all’inizio de “Gli ultimi giorni dell’umanità”: perché Kraus è così importante anche per gli italiani, e per i trentini in particolare?
«Kraus è il critico più severo dell’Austria Asburgica, del suo imperatore Francesco Giuseppe, e della Guerra scoppiata nell’estate del 1914. A suo giudizio l’imperatore è il primo colpevole di questa tragedia. Francesco Giuseppe ha “rimbecillito” per settant’anni i suoi sudditi, governando con pedante mediocrità quel “guazzabuglio” (Pallawatsch) che era l’Impero Austro-Ungarico, composto di ben 22 nazionalità diverse, senza tentare alcuna opera di emancipazione politica e senza promuovere alcun progresso economico, come aveva fatto Bismarck in Germania. Nella fotografia ufficiale di Battisti morto Kraus vide l’orrore, provocato da un popolo “rimbecillito” che esprime col boia, sorridente e soddisfatto di esibire il suo “trofeo”, la sua vera natura, quella che Kraus chiama “la giovialità sanguinaria” del volto dell’Austria».
Come mai una foto che doveva essere diffusa come cartolina dal comando militare ebbe l’effetto contrario?
«Il comando militare austriaco impose di fotografare sempre ogni esecuzione capitale con un militare austriaco a fianco della vittima, per documentarne l’autenticità. L’Archivio Militare di Vienna conserva migliaia di foto di impiccati in tutti i paesi dove si combatté. Nel frattempo molte di queste foto sono state pubblicate. Esse rendono visivamente evidente la politica di terrore condotta dall’esercito austroungarico. Lo stesso Kraus scrive nella scena dove si parla di Cesare Battisti di ben “36.000 forche innalzate sotto il comando dell’arciduca Federico”. Per lui Cesare Battisti, ingiustamente processato, condannato e dileggiato, era l’emblema dell’ignobile fine dell’Austria “corrotta dagli Asburgo».
I contrari Schnitzler previde subito la gravità