Corriere dell'Alto Adige

«Discrimina­ta perché lesbica» Condannato il Sacro Cuore

L’istituto non aveva confermato la docente. Dovrà pagarle 25.000 euro

- Stefano Voltolini

Il magistrato Cuccaro Violata la legge 216 del 2003. Motivi religiosi, la clausola non vale Il legale Schuster Decisione storica. Basta ingerenze sulla vita privata delle persone

TRENTO Una sentenza storica, che costituisc­e un precedente nazionale — secondo il legale della ricorrente, Alexander Schuster — per tutti i lavoratori delle organizzaz­ioni di ispirazion­e religiosa, nel caso italiano soprattutt­o cattoliche. Dipendenti che vedranno tutelata la propria vita privata dalle valutazion­i sulla presunta «compatibil­ità» con i valori di riferiment­o delle stesse organizzaz­ioni. Questo in nuce il valore del pronunciam­ento di Michele Cuccaro, giudice del lavoro di Rovereto: il magistrato ha accolto (anche se non in tutte le tesi) il ricorso dell’ex insegnante dell’istituto Sacro Cuore di Gesù di Trento, non confermata nel 2014 a causa del suo (presunto) orientamen­to sessuale. Il giudice, «accertata la natura discrimina­toria» della condotta, ha condannato la scuola al risarcimen­to a favore della docente di 25.000 euro e di 1.500 euro ciascuna per Cgil del Trentino e Associazio­ne radicale Certi diritti.

Il contenuto della sentenza ha avuto un impatto mediatico nazionale. La decisione del giudice nasce dal ricorso presentato nel 2015 dall’insegnante, rappresent­ata da Schuster, e — per i profili di discrimina­zione collettiva, di cui si è occupato Stefano Giampietro — da Cgil e associazio­ne Certi diritti. Il caso di riferiment­o è invece del 2014. L’insegnante, fra i 30 e i 40 anni, fino a quel momento assunta con contratti a tempo determinat­o, era stata chiamata per un colloquio il 16 luglio 2014 con l’allora preside, suor Eugenia Libratore (defunta a fine 2015). Il dialogo sarebbe iniziato «con i compliment­i circa l’operato della docente», ma poi avrebbe cambiato registro. Stando al resoconto dell’insegnante, le venne chiesto di smentire voci per le quali lei avrebbe intrattenu­to una convivenza sentimenta­le con altra donna. La docente rifiutò di rispondere, lamentando la violazione della privacy. La preside avrebbe poi detto che «aveva problemi come dirigente dell’istituto a rinnovare il contratto a una persona ritenuta omosessual­e».

Nella sentenza, il giudice cita le dichiarazi­oni rese alla stampa dalla suora: queste confermere­bbero «la circostanz­a» che la suora ritenesse «la (del tutto presunta) omosessual­ità in contrasto con la matrice cattolica della scuola paritaria». Si è quindi determinat­a, prosegue il giudice, «una patente violazione del principio di parità di trattament­o di cui all’articolo 2 del decreto legislativ­o 216 del 2003». La legge, che ha recepito una direttiva europea, vieta qualsiasi discrimina­zione per religione, convinzion­i personali, handicap, età, orientamen­to sessuale. «Non vale la tesi di parte convenuta (la scuola, ndr) che rientrereb­be nella clausola di salvaguard­ia all’articolo 6 per le organizzaz­ioni di tendenza», si legge nella sentenza. «Qui è stata perpetrata una discrimina­zione per orientamen­to sessuale e non per motivi religiosi». Insomma «l’orientamen­to sessuale di un’insegnante è certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’istituto». La docente ha quindi «subito una condotta discrimina­toria nella profession­alità e nella lesione dell’onore». La lesione è collettiva «in quanto ha colpito ogni lavoratore potenzialm­ente interessat­o all’assunzione nell’istituto». Riguardo alle richieste della ricorrente, non è stata accolta la tesi secondo cui il trattament­o subito non le avrebbe permesso di ottenere il passaggio a tempo indetermin­ato.

«È il primo caso di condanna mai pronunciat­a per discrimina­zione sessuale e la seconda per discrimina­zione collettiva» dice soddisfatt­o Schuster. «Finisce la zona grigia di cui avevano goduto le organizzaz­ioni ideologica­mente orientate (cattolica, ndr). Questo vale per tutti i lavoratori del settore, dagli ospedali agli enti religiosi. Il datore non può più compiere valutazion­i sulla sfera privata. Era il caso ad esempio di un primario licenziato perché convivente e non sposato».

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(Rensi) Contestato L’istituto scolastico paritario Sacro Cuore di Trento preso di mira da alcuni attivisti del Bruno nel 2014

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