Surkalova condannata all’ergastolo Per i giudici ha avvelenato il marito
Corte d’Assise, confermata la richiesta della Procura. La difesa: manca il movente
Per i giudici della Corte d’Assise del tribunale di Bolzano è stata Jana Surkalova a uccidere il marito Josef Surkala, bracciante agricolo della Repubblica Ceca e dipendente stagionale di una ditta di Laives. L’uomo, lo ricordiamo, morì nel dicembre del 2013 a seguito di un avvelenamento da metanolo. Ieri, la donna, unica imputata per l’omicidio del coniuge, è stata dunque condannata all’ergastolo.
La Corte, presieduta dal giudice Carlo Busato (e a latere da Stefan Tappeiner), ha quindi sposato in pieno l’impianto accusatorio e le conseguenti richieste del Procuratore capo Giancarlo Bramante, che al termine della sua requisitoria aveva infatti chiesto la pena dell’ergastolo ritenendo la donna colpevole di omicidio volontario pluriaggravato (dalla premeditazione, dall’avvelenamento e dal fatto che la vittima fosse il coniuge). Surkalova, che ieri non era presente all’udienza e che si trova attualmente in Repubblica Ceca, è stata inoltre condannata all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla decadenza dalla potestà genitoriale (la donna ha due figli avuti da Josef Surkala, ndr). La Corte ha inoltre disposto la pubblicazione della sentenza nei Comuni di Laives, Bolzano e nel comune di residenza in Repubblica Ceca.
Al momento, come anche confermato dal Procuratore, per la donna non è stato disposto un mandato di arresto, dunque Surkalova rimarrà probabilmente libera fino al verdetto del terzo grado di giudizio. Inoltre, come annunciato a margine della sentenza, l’avvocato di fiducia della donna, Boris Dubini, intende fare ricorso in Appello. Soddisfatto del verdetto il Procuratore Giancarlo Bramante, che ha coordinato le indagini sin dall’inizio: «Il verdetto dimostra che abbiamo raggiunto un grado di prove convincente», si è limitato a commentare.
La Corte, composta dai giudici togati Busato e Tappeiner e dalla giuria popolare, si è ritirata in Camera di consiglio per circa due ore prima di pronunciare il verdetto. Nel corso della mattinata si è invece svolta la discussione, con la requisitoria della pubblica accusa e l’arringa della difesa. Il Procuratore Bramante ha parlato per circa due ore, fornendo una ricostruzione delle ultime 24 ore di vita di Surkala, dei giorni antecedenti e di quelli che furono i comportamenti della moglie. Numerosi i punti ritenuti cruciali dalla Procura: dal ritrovamento in Repubblica Ceca di una tanica di metanolo nello sgabuzzino dell’abitazione della donna, «sulla quale l’imputata ha fornito spiegazioni poco chiare», al ritrovamento di due file sul pc della signora, entrambi antecedenti alla data della morte di Surkala: «Si tratta di una scheda di sicurezza riguardante l’utilizzo del metanolo e di una scheda traumatologica», ha spiegato l’accusa. La Procura ha inoltre illustrato come si sia giunti a escludere che si possa essere trattato di un suicidio, «è la stessa moglie ad affermare che Josef non si sarebbe mai tolto la vita», o di una sofisticazione di bevanda alcolica, come inizialmente era stato ipotizzato. «Questa possibilità — ha spiegato Bramante — è stata smentita dalle analisi effettuate sia sul lotto di gin sequestrato sia sulla bottiglia di vodka Mephisto che la signora ci disse di aver gettato e che recuperammo dalla campana della differenziata: in entrambi i casi le bottiglie sono risultate negative al metanolo. Oltretutto — ha aggiunto il Procuratore — dei quattro che trascorsero la serata insieme prima che Surkala si sentisse male, solo lui risultò positivo al metanolo». La Procura ha inoltre spiegato di aver escluso anche l’avvelenamento involontario, in quanto nella ditta dove lavorava e alloggiava Surkala non vi erano confezioni di metanolo e gli unici prodotti che lo contenevano, l’antigelo e il detersivo lavavetri, risultavano «difficili da ingerire casualmente visto soprattutto il forte odore sgradevole». Bramante si è poi soffermato anche sul profilo della donna, che ha definito «dalla personalità molto economicamente orientata» e «che fa dell’insidia il suo modo di essere e vivere».
Più sintetica l’arringa difensiva dell’avvocato Dubini, che si è soffermato in particolar modo sulla mancanza di un movente: «Surkala era l’unica fonte di sostentamento della famiglia, e trascorreva pochi giorni all’anno a casa, perché ammazzarlo? La signora ci ha solo rimesso e certo non è credibile che lo abbia fatto per una polizza assicurativa da appena trentamila euro». L’avvocato ha poi aggiunto: «Non c’è la prova che la signora abbia trasportato il metanolo dalla Repubblica Ceca a Laives. Si chiede una condanna sulla base di suggestioni, ma senza che vi siano le prove e ragionando per esclusione».
L’accusa Il pm ha contestato l’omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione