«Lampros, nostro l’esposto in Procura»
Parla l’amministratore del trust: «In un anno 500 email per le verifiche»
«Il trust Lampros era semplicemente un veicolo professionale con lo scopo di utilizzare i fondi dei suoi beneficiari per acquisire partecipazioni della società neozelandese Rimu». Questa era la ragione di esistere dell’istituto nato nel luglio 2014, fissata nero su bianco nel suo atto istitutivo, tant’è vero che crollata su se stessa la Rimu anche Lampros si è eclissato. A spiegarlo è Stefano Curzio, presidente del cda della Private Trans Company Srl, “trustee” di Lampros, ossia amministratore dei beni degli investitori.
Nelle indagini condotte dalla guardia di finanza per la presunta truffa milionaria, la società di Curzio gioca un ruolo importante. Il 4 maggio 2016, infatti, «di nostra iniziativa abbiamo presentato un esposto in Procura» spiega il commercialista. Un atto che ha consentito alle fiamme gialle di mettere in relazione quanto ricostruito fino al 2013-2014 con quanto avvenuto subito dopo.
La Private Trans Company Srl viene coinvolta nella vicenda l’1 luglio 2014. «Quel giorno conosco Leonardo Sala» spiega Curzio. L’allora consulente di Banche Generali avrebbe chiesto al commercialista, esperto di fama nazionale in materia di “trust”, una consulenza per la nascita di un istituto svizzero con cui veicolare investimenti italiani verso la società neozelandese. Un’operazione in parte già avviata spiega Curzio, il quale ricevette «una copia dell’atto d’istituzione del trust» redatta dalla Ec Global Consulting, stimata società di consulenza finanziaria con sede a Lugano. «Evidenziai delle criticità fiscali che avrebbero determinato un’esterovestizione» prosegue Curzio, il quale avrebbe quindi proposto l’istituzione di un trust italiano. «Nel frattempo mi viene presentata una consulenza tributaria del prestigioso studio De Iure di Roma, in cui viene chiarita l’attività della società neozelandese e che essa è regolare dal punto di vista fiscale». L’obiettivo della Rimu sarebbe stato quello di sviluppare una piattaforma finanziaria elettronica attraverso la quale compiere diversi tipi di operazioni. Ogni transazione avrebbe fatto guadagnare dei soldi alla società, e quindi ai suoi investitori.
Così il 23 luglio 2014, nell’ufficio di un notaio veronese, nasce il trust Lampros, a cui aderiscono 35 investitori, tra cui anche un trust della famiglia Curzio, e con il solo compito di sottoscrivere quote di capitale della Rimu utilizzando i soldi degli stessi. «A quel punto chiedo un certificato azionario» continua Curzio. Atto che tutti gli investitori avrebbero ricevuto. Intanto dalla Nuova Zelanda avrebbero iniziato ad arrivare fatture, «che io ero obbligato contrattualmente a pagare». Allo stesso tempo, però, Curzio inizia a richiedere alla società dei progetti di sviluppo. «Cinquecento email in un anno e mezzo» spiega Curzio, che l’1 ottobre 2014 avrebbe deciso di bloccare i pagamenti delle fatture, ricevendo quindi una «pezza giustificativa degli esborsi». Il tira e molla prosegue fino al 18 dicembre 2015 senza che la piattaforma abbia visto la luce.
«Quel giorno ricevo un’email da William Clark, il presidente della Rimu Investments Limited, in cui mi comunicava che i soldi sono finiti e che dovevamo iniziare a cercarci dei nuovi sviluppatori» spiega Curzio, che a quel punto avrebbe convocato gli investitori annunciando l’intenzione di prendere l’aereo per vedere di persona gli uffici, in Spagna, in cui il software sarebbe stato in fase di sviluppo. Nel frattempo Clark invia un’email ufficiale con la quale comunica il recesso dalla “limited partnership” sulla Rimu, che quindi crolla su se stessa. A quel punto anche Lampros non avrebbe potuto più esistere. «Ho quindi chiesto agli investitori — continua il commercialista — se volessero sciogliere il trust o modificarlo per agire in giudizio in maniera unitaria». Una parte avrebbe espresso l’intenzione di mollare tutto, quattro tra loro si sono mossi legalmente, ma un’altra parte si diceva pronta a credere nelle capacità di Imrain Butt, «il tecnico presentato come quello che avrebbe risolto tutti i problemi completando lo sviluppo del software». Ma così non fu.