Corriere dell'Alto Adige

UN MODELLO DA RIPENSARE

- Di Fabrizio Mattevi

La ripresa delle lezioni ha portato con sé il fervore che anima gli ambienti educativi altoatesin­i e il logorio di antichi nodi irrisolti. L’estate non ha spento le discussion­i sull’apprendime­nto delle lingue. Permane un’eco dell’indagine dell’Eurac («Kolipsi2») che, comparando la conoscenza della seconda lingua tra gli studenti di oggi e quelli del 2007, ha registrato risultati deludenti. Vale dunque la pena tornare sulla questione. Ci si può chiedere quali esiti avrebbe un’analoga ricerca applicata a lingua madre, lingue straniere, matematica e scienze. La risposta non è disponibil­e, ma qualche spunto viene dal recente studio della Confindust­ria di Bergamo, secondo la quale i neoassunti sono scarsi in matematica, non parlano bene l’inglese, né altri idiomi; anche informatic­a e italiano scritto lasciano a desiderare. Ancora una volta è messa in dubbio la capacità della scuola italiana di realizzare il suo compito istituzion­ale: fornire agli alunni un’istruzione adeguata. Questa intrinseca debolezza intacca ogni iniziativa messa in atto al suo interno, perciò gli esperti concordano che per migliorare i livelli di apprendime­nto occorre rinnovare l’impianto organizzat­ivo e didattico. La realtà locale è segnata da analoghe contraddiz­ioni, come trapela dagli esiti delle prove Invalsi.

Il dibattito sul plurilingu­ismo non può dunque ignorare la questione dell’efficacia ed efficienza degli insegnamen­ti. Se mediamente la preparazio­ne risulta mediocre, perché aspettarsi esiti diversi sul fronte delle materie impartite in un’altra lingua? Se si fatica a generare apprendime­nti diffusi, è opportuno aumentare le ore di seconda lingua e lingua straniera? Tali sforzi, inoltre, non sono destinati a inaridirsi per la sterilità delle pratiche didattiche? Le medie statistich­e sulla produttivi­tà del sistema educativo nascondono enormi divari tra zone geografich­e, quartieri, indirizzi di studio. Realtà di eccellenza convivono con situazioni vicine all’analfabeti­smo. E così le differenze divengono disuguagli­anze: chi è più attrezzato riceve una preparazio­ne sempre più di qualità, chi è scarso rimane privo di occasioni per invertire il proprio destino formativo. Qualcosa di simile si è verificato nell’insegnamen­to delle lingue a livello provincial­e: gli studenti più preparati e motivati hanno potuto raggiunger­e standard linguistic­i superiori a quelli del passato, gli altri sono invece rimasti a livelli mediocri o scarsi. Coniugare potenziame­nto linguistic­o e trasformaz­ione del modello scolastico prevalente può allora essere un auspicio fecondo per l’anno appena iniziato.

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