UN MODELLO DA RIPENSARE
La ripresa delle lezioni ha portato con sé il fervore che anima gli ambienti educativi altoatesini e il logorio di antichi nodi irrisolti. L’estate non ha spento le discussioni sull’apprendimento delle lingue. Permane un’eco dell’indagine dell’Eurac («Kolipsi2») che, comparando la conoscenza della seconda lingua tra gli studenti di oggi e quelli del 2007, ha registrato risultati deludenti. Vale dunque la pena tornare sulla questione. Ci si può chiedere quali esiti avrebbe un’analoga ricerca applicata a lingua madre, lingue straniere, matematica e scienze. La risposta non è disponibile, ma qualche spunto viene dal recente studio della Confindustria di Bergamo, secondo la quale i neoassunti sono scarsi in matematica, non parlano bene l’inglese, né altri idiomi; anche informatica e italiano scritto lasciano a desiderare. Ancora una volta è messa in dubbio la capacità della scuola italiana di realizzare il suo compito istituzionale: fornire agli alunni un’istruzione adeguata. Questa intrinseca debolezza intacca ogni iniziativa messa in atto al suo interno, perciò gli esperti concordano che per migliorare i livelli di apprendimento occorre rinnovare l’impianto organizzativo e didattico. La realtà locale è segnata da analoghe contraddizioni, come trapela dagli esiti delle prove Invalsi.
Il dibattito sul plurilinguismo non può dunque ignorare la questione dell’efficacia ed efficienza degli insegnamenti. Se mediamente la preparazione risulta mediocre, perché aspettarsi esiti diversi sul fronte delle materie impartite in un’altra lingua? Se si fatica a generare apprendimenti diffusi, è opportuno aumentare le ore di seconda lingua e lingua straniera? Tali sforzi, inoltre, non sono destinati a inaridirsi per la sterilità delle pratiche didattiche? Le medie statistiche sulla produttività del sistema educativo nascondono enormi divari tra zone geografiche, quartieri, indirizzi di studio. Realtà di eccellenza convivono con situazioni vicine all’analfabetismo. E così le differenze divengono disuguaglianze: chi è più attrezzato riceve una preparazione sempre più di qualità, chi è scarso rimane privo di occasioni per invertire il proprio destino formativo. Qualcosa di simile si è verificato nell’insegnamento delle lingue a livello provinciale: gli studenti più preparati e motivati hanno potuto raggiungere standard linguistici superiori a quelli del passato, gli altri sono invece rimasti a livelli mediocri o scarsi. Coniugare potenziamento linguistico e trasformazione del modello scolastico prevalente può allora essere un auspicio fecondo per l’anno appena iniziato.