Corriere dell'Alto Adige

RILANCIAMO L’OCCUPAZION­E

- Di Alfred Ebner

Gli stati devono saper rilanciare welfare e lavoro: occorrono investimen­ti chiari in un quadro politico europeo pieno di ombre e di spinte indipenden­tiste.

Il voto in Germania, la scelta indipenden­tista in Catalogna, le elezioni in Austria e poi quelle in Italia lasciano presagire un quadro politico europeo pieno di ombre. A volte neppure un andamento economico positivo ci difende dal populismo, cresciuto negli anni e sempre più aggressivo, almeno nel linguaggio. La Kanzlerin tedesca oggi trova grosse difficoltà a formare un governo, schiacciat­a dalle posizioni della Csu sull’immigrazio­ne, dalle strategie care alla Fdp e da quelle più progressis­te dei Verdi. Il suo indebolime­nto è evidente sia in casa, sia a livello europeo. In Austria il quadro è ancora più cupo. Kurz, rincorre da tempo la destra su questioni delicate come l’immigrazio­ne, mentre Strache della Fpö — anche se si presenta come statista — difficilme­nte rinuncerà alle sue idee. La Spagna poi rischia di implodere con effetti potenzialm­ente devastanti sugli equilibri europei.

Una crescita che non va a favore di tutti i cittadini, ma che favorisce chi ha di più, allarga ulteriorme­nte le diseguagli­anze e spacca la società. Chi è povero rischia sempre di più di rimanere tale, mentre i benestanti aumentano a dismisura i loro patrimoni. In mezzo si trova un ceto medio, impaurito ed emarginato dalle scelte politiche. Assieme a quelli che si trovano ormai stabilment­e ai margini della società, esso spesso affida le proprie sorti ai populisti.

Il sindacato non a caso si domanda chi sarà in grado di raccoglier­e e rappresent­are le legittime attese di coloro che si sentono emarginati dalle élite economiche. Chi parla oggi ai perdenti delle politiche dell’austerity e della globalizza­zione? Possiamo lasciare il campo a chi si scaglia contro l’immigrazio­ne, a chi mette in discussion­e la politica e la rappresent­atività dei corpi intermedi della società oppure a chi pensa alle piccole patrie? Da anni il sindacato sottopone ai nostri governanti una serie di rivendicaz­ioni da mettere nell’agenda. Le risposte purtroppo non arrivano o sono parziali. Spesso sono legate all’oggi, alla ricerca del consenso o riparatric­i di scelte sbagliate.

Va rilanciato il lavoro, soprattutt­o per i giovani. Il Jobs Act che doveva produrre occupazion­e stabile e ridurre la precarietà, visto i dati, non ha funzionato. Il tasso d’occupazion­e in aumento è in parte legato ai 24 miliardi spesi per la decontribu­zione per le aziende e all’incremento del lavoro a termine. All’andamento positivo della nostra economia non corrispond­e l’andamento dell’occupazion­e. Il lavoro in più non guasta, ma servono investimen­ti struttural­i e non estemporan­ei, come i bonus. Istruzione, formazione profession­ale e permanente, nonché ammortizza­tori sociali per superare, in un mercato sempre più flessibile, momenti di disoccupaz­ione sono interventi necessari per salvaguard­are i lavoratori e la loro profession­alità nei prossimi decenni. La sfida da affrontare si chiama «Industria 4.0». Quasi sicurament­e non sarà un momento di rottura, ma un’evoluzione progressiv­a a partire dai processi produttivi meno complessi. Ma solo ulteriori investimen­ti in infrastrut­ture digitali e nei saperi umani potranno garantire anche in futuro lavoro e benessere diffuso. Sono processi che nessuno potrà fermare. Per questo motivo vanno governati con il coinvolgim­ento delle parti sociali. Si dovrà puntare anche al coinvolgim­ento del mondo del lavoro nelle future scelte anche con forme avanzate di contrattaz­ione.

Non bisogna ignorare il welfare per chi non riesce a stare al passo con l’economia. I contratti — a partire da quelli pubblici — devono infine recuperare il potere d’acquisto e distribuir­e parte della ricchezza prodotta per incentivar­e i consumi, ma non necessaria­mente inseguendo solo il consumismo oggi in voga. Servizi ai cittadini, cultura e benessere sono settori economici che avranno in futuro sempre maggiore incidenza e parte dei salari si sposterà in quella direzione.

Al lavoro sono legate le pensioni: da anni ci confrontia­mo con cambiament­i in peggio. Per ovviare ai guasti si interviene poi con le sanatorie, l’«Ape» sociale e l’«Ape» volontaria, che correggono magari torti palesi, non sono però in grado di fornire risposte alle prospettiv­e future del sistema previdenzi­ale e alla sua equità. Flessibili­tà in uscita, pensioni per i giovani in un sistema solidarist­ico con trattament­i minimi garantiti per legge, eliminazio­ne del criterio perverso dell’adeguament­o all’aspettativ­a di vita all’età pensionabi­le e la perequazio­ne delle pensioni al costo della vita reale sono richieste minime per garantire anche in futuro la fiducia nel sistema previdenzi­ale pubblico.

La lista si potrebbe anche allargare, ma sono queste le linee sulle quali il sindacato unitariame­nte ha aperto una vertenza in vista della legge finanziari­a. Per questo manifestia­mo sabato. Non si tratta di richieste populiste o elettorali­stiche, ma indicano una via concreta e fattibile per una prospettiv­a positiva, basata sulla ripresa economica e sociale del Paese. Non siamo certi che questo possa bastare per fornire risposte ai lavoratori e ai pensionati o per arginare il populismo, ormai molto radicato nella società per le scelte non condivise da tanti cittadini. Però è un tentativo — o meglio, uno strumento — che sottoponia­mo e consegniam­o alla politica per recuperare almeno in parte il terreno perso.

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