RILANCIAMO L’OCCUPAZIONE
Gli stati devono saper rilanciare welfare e lavoro: occorrono investimenti chiari in un quadro politico europeo pieno di ombre e di spinte indipendentiste.
Il voto in Germania, la scelta indipendentista in Catalogna, le elezioni in Austria e poi quelle in Italia lasciano presagire un quadro politico europeo pieno di ombre. A volte neppure un andamento economico positivo ci difende dal populismo, cresciuto negli anni e sempre più aggressivo, almeno nel linguaggio. La Kanzlerin tedesca oggi trova grosse difficoltà a formare un governo, schiacciata dalle posizioni della Csu sull’immigrazione, dalle strategie care alla Fdp e da quelle più progressiste dei Verdi. Il suo indebolimento è evidente sia in casa, sia a livello europeo. In Austria il quadro è ancora più cupo. Kurz, rincorre da tempo la destra su questioni delicate come l’immigrazione, mentre Strache della Fpö — anche se si presenta come statista — difficilmente rinuncerà alle sue idee. La Spagna poi rischia di implodere con effetti potenzialmente devastanti sugli equilibri europei.
Una crescita che non va a favore di tutti i cittadini, ma che favorisce chi ha di più, allarga ulteriormente le diseguaglianze e spacca la società. Chi è povero rischia sempre di più di rimanere tale, mentre i benestanti aumentano a dismisura i loro patrimoni. In mezzo si trova un ceto medio, impaurito ed emarginato dalle scelte politiche. Assieme a quelli che si trovano ormai stabilmente ai margini della società, esso spesso affida le proprie sorti ai populisti.
Il sindacato non a caso si domanda chi sarà in grado di raccogliere e rappresentare le legittime attese di coloro che si sentono emarginati dalle élite economiche. Chi parla oggi ai perdenti delle politiche dell’austerity e della globalizzazione? Possiamo lasciare il campo a chi si scaglia contro l’immigrazione, a chi mette in discussione la politica e la rappresentatività dei corpi intermedi della società oppure a chi pensa alle piccole patrie? Da anni il sindacato sottopone ai nostri governanti una serie di rivendicazioni da mettere nell’agenda. Le risposte purtroppo non arrivano o sono parziali. Spesso sono legate all’oggi, alla ricerca del consenso o riparatrici di scelte sbagliate.
Va rilanciato il lavoro, soprattutto per i giovani. Il Jobs Act che doveva produrre occupazione stabile e ridurre la precarietà, visto i dati, non ha funzionato. Il tasso d’occupazione in aumento è in parte legato ai 24 miliardi spesi per la decontribuzione per le aziende e all’incremento del lavoro a termine. All’andamento positivo della nostra economia non corrisponde l’andamento dell’occupazione. Il lavoro in più non guasta, ma servono investimenti strutturali e non estemporanei, come i bonus. Istruzione, formazione professionale e permanente, nonché ammortizzatori sociali per superare, in un mercato sempre più flessibile, momenti di disoccupazione sono interventi necessari per salvaguardare i lavoratori e la loro professionalità nei prossimi decenni. La sfida da affrontare si chiama «Industria 4.0». Quasi sicuramente non sarà un momento di rottura, ma un’evoluzione progressiva a partire dai processi produttivi meno complessi. Ma solo ulteriori investimenti in infrastrutture digitali e nei saperi umani potranno garantire anche in futuro lavoro e benessere diffuso. Sono processi che nessuno potrà fermare. Per questo motivo vanno governati con il coinvolgimento delle parti sociali. Si dovrà puntare anche al coinvolgimento del mondo del lavoro nelle future scelte anche con forme avanzate di contrattazione.
Non bisogna ignorare il welfare per chi non riesce a stare al passo con l’economia. I contratti — a partire da quelli pubblici — devono infine recuperare il potere d’acquisto e distribuire parte della ricchezza prodotta per incentivare i consumi, ma non necessariamente inseguendo solo il consumismo oggi in voga. Servizi ai cittadini, cultura e benessere sono settori economici che avranno in futuro sempre maggiore incidenza e parte dei salari si sposterà in quella direzione.
Al lavoro sono legate le pensioni: da anni ci confrontiamo con cambiamenti in peggio. Per ovviare ai guasti si interviene poi con le sanatorie, l’«Ape» sociale e l’«Ape» volontaria, che correggono magari torti palesi, non sono però in grado di fornire risposte alle prospettive future del sistema previdenziale e alla sua equità. Flessibilità in uscita, pensioni per i giovani in un sistema solidaristico con trattamenti minimi garantiti per legge, eliminazione del criterio perverso dell’adeguamento all’aspettativa di vita all’età pensionabile e la perequazione delle pensioni al costo della vita reale sono richieste minime per garantire anche in futuro la fiducia nel sistema previdenziale pubblico.
La lista si potrebbe anche allargare, ma sono queste le linee sulle quali il sindacato unitariamente ha aperto una vertenza in vista della legge finanziaria. Per questo manifestiamo sabato. Non si tratta di richieste populiste o elettoralistiche, ma indicano una via concreta e fattibile per una prospettiva positiva, basata sulla ripresa economica e sociale del Paese. Non siamo certi che questo possa bastare per fornire risposte ai lavoratori e ai pensionati o per arginare il populismo, ormai molto radicato nella società per le scelte non condivise da tanti cittadini. Però è un tentativo — o meglio, uno strumento — che sottoponiamo e consegniamo alla politica per recuperare almeno in parte il terreno perso.