Una deriva epocale
La Catalogna che proclama l’indipendenza e poi dice «trattiamo». L’Italia che sforna una legge elettorale a uso e consumo dei partiti dell’inciucio. Gli organismi Onu che sono ormai ridotti a fare mere dichiarazioni di principio e ad avanzare «auspici». Gli esempi potrebbero essere tantissimi, fitti di problemi sociali mai risolti: come la povertà dilagante, o la sicurezza, ben lontana dall’essere garantita, grazie a leggi che si attenuano sempre più.
Guardandomi attorno, sempre più spesso mi faccio una semplice domanda: non è che gli «Stati», gli «apparati politici» sono diventati ormai talmente debordanti, garantisti e autoreferenziali che nessuno più prende delle decisioni? Non le «decisioni giuste», ma «delle» decisioni? E nei meandri degli apparati la gente, si sa, da il peggio di sé.
In Italia ci siamo specializzati in riforme annunciate pomposamente e poi bocciate dagli organi giurisdizionali, «riforme epocali» che poi vengono corrette o annullate, «80 euro per le famiglie» che poi tornano indietro, governi che lasciano che le imprese licenzino gli operai spostandosi all’estero per schiavizzarne di più e fare profitti, delinquenti che restano liberi, processi a politici che dopo anni vengono scagionati. amministratori che — anche qui in Alto Adige — si fanno da soli le leggi su benefit e vitalizi per poi sbandierare il solito, sonoro «Lo dice la legge». Ed è pure comica la tiritera di chi dice: «La colpa è nostra, ovvero dei politici che eleggiamo». Nossignori, la colpa caso mai è dei partiti che — con la suddetta legge elettorale si sceglieranno i due terzi degli eletti — e se io vado alle urne e devo scegliere tra due incapaci, la colpa non è di certo mia.
Una spiegazione ce l’ha data già nel 1971 il grande Roberto Vacca. Nel suo «Medioevo prossimo venturo» aveva perfettamente codificato un lato importantissimo del problema, che è essenzialmente scientifico e anche antropologico. I sistemi, le burocrazie, gli Stati diventano sempre più grandi e complessi fino al punto che la realtà diventa «ingestibile» se affrontata da gente non adeguatamente preparata. La realtà che cambia a una velocità maggiore di quanto cambia il nostro modo di ragionare. La corsa tecnologia poi nel tempo, la modernizzazione dei processi rischia di diventare la leva con cui le oligarchie dei vari stati rischiano di fare danni definitivi al resto della popolazione. E non si parla certo di disastri come i ponti che cascano sulle strade, ma di disgregazione sociale. Agli oligarchi non interessa nulla della sicurezza sociale: se ne stanno nelle loro ville recintate, nei loro uffici blindati a garantirsi lo status quo. Interessa loro solo il consenso, un popolo da sfruttare — tranquillizzato da «pane e circo (mediatico)» — e quella che Thomas Hobbes chiamava «vanagloria»: eccessivo e immotivato compiacimento dei propri (falsi) meriti. Angelo Donati,
BOLZANO