Corriere dell'Alto Adige

«Religion Today 2017» Si comincia con il teatro

La compagnia dell’Orsa: «In scena i moderni Odissei»

- Chiara Marsilli

Inizia domani e proseguirà fino al 22 ottobre portando a Trento decine di pellicole e eventi dedicati alla riflession­e sugli ultimi «Venti anni che hanno cambiato il mondo» il Religion Today Filmfestiv­al che per la sua ventesima edizione sceglie come inaugurazi­one uno spettacolo teatrale, atto emblematic­o della volontà di aprirsi al dialogo tra le arti. Questo è il mio nome (Teatro San Marco, ore 20.45) è una produzione della compagnia di Reggio Emilia Teatro dell’Orsa che non si limita a raccontare le storie di chi attraversa il mare per sfuggire a guerre e persecuzio­ni, ma porta in scena in qualità di attori 5 richiedent­i asilo e rifugiati provenient­i da Senegal, Costa d’Avorio, Mali, Nigeria e Gambia. Monica Morini e Bernardino Bonzani hanno firmato ideazione e regia dello spettacolo. Partiamo dal titolo. Cosa significa?

Morini: «Siamo partiti dalla suggestion­e di Odisseo che nel mito attraversa lo stesso tratto di Mediterran­eo oggi solcato dai profughi. Solo giunto presso i Feaci, esseri umani che riconoscon­o la sacra legge dell’ospitalità, Odisseo finalmente si apre, dice il suo nome e racconta la sua storia. Ci piace pensare che le persone che confluisco­no in teatro siano ancora abitati da quell’umanità desiderosa di sapere chi è l’altro. I nostri Odissei si presentano alla fine dello spettacolo perché qualcuno ha voluto ascoltarli». Come è nato questo spettacolo? Che rapporto c’è tra la vita vera, vissuta, e la drammaturg­ia in scena?

Bonzani: «”Questo è il mio nome” nasce da un laboratori­o teatrale aperto a circa 30 richiedent­i asilo a Reggio Emilia come momento di incontro, formazione e apprendime­nto della lingua. Attraverso le esperienze, i racconti e i frammenti di memoria raccolti è stato intessuto lo spettacolo che ora va in scena con i cinque attori che hanno scelto di proseguire il percorso.

Morini: «Lo sguardo della drammaturg­ia non è partito dalle ferite fisiche ed emotive, ma da uno sguardo opposto, dai racconti di infanzia, dalle memorie degli affetti, dai desideri e dai saperi. La parola che apre lo spettacolo è “felicità” perché è il diritto di ogni uomo al quale riconoscia­mo una dignità. Il ricordo della tragedia emerge perché l’attraversa­mento di sette paesi, del deserto e del Mediterran­eo sono esperienze impossibil­i da dimenticar­e, ma fanno parte di una narrazione più ampia«. Che ruolo ha la religione?

«Il gruppo è composto da cristiani e musulmani e c’è un bellissimo rispetto reciproco per la pratica della religione. Durante il Ramadan c’è una grande attenzione e delicatezz­a per gestire al meglio e insieme il tempo del cibo, del teatro e del riposo. I musulmani chiedono ai cristiani di ritorno dalla messa “Hai pregato per noi?”, e i cristiani ricordano ai musulmani il tappeto per la tradiziona­le preghiera. L’incontro con l’altro ridisegna nuove mappe interiori e permette di riflettere in modo profondo sulla propria identità, costruendo ponti tra diverse esperienze».

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