LA PRIVACY VIOLENTATA
Da maggio 2018, come spiegato ampiamente dal nostro giornale, imprese e pubbliche amministrazioni dovranno dotarsi di un «responsabile della protezione dei dati» ai sensi del nuovo regolamento Ue. Che vi sia maggiore attenzione per i diritti dei cittadini è positivo, ma sarà sufficiente l’individuazione di una figura apposita per salvaguardare l’efficacia della normativa, e segnare un cambio di passo nella tutela di tali diritti?
Un primo dubbio è legato all’impatto delle regole europee sulle imprese come Facebook, Google, Amazon e altri grandi operatori della Rete che gestiscono quantità impressionanti di dati su tutti noi, ottenuti con il nostro consenso più o meno informato e cosciente. Un dubbio ulteriore riguarda l’influsso delle nuove norme sulla reale consapevolezza dei cittadini a proposito dei loro diritti e dei relativi pericoli. O, prima ancora, ci si potrà chiedere se la privacy è a tutt’oggi un diritto di cui si riconosce l’importanza. Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, sostiene da tempo che le norme sociali sono cambiate e che le persone sono più a loro agio nel condividere, e anzi diffondere, informazioni personali, anche sensibili. Difficile dargli torto. Cinicamente, però, una diversa prospettiva viene fornita da un’esperta della Rete, Esther Dyson, che ha rilevato come tutte le persone esprimano preoccupazione per la loro privacy ma, di fronte a uno sconto, siano disposte a fornire senza indugio una serie di dati personali. La privacy, insomma, come diritto alienabile.
La tutela della riservatezza dipende quindi da alcuni fattori. Il primo riguarda, addirittura a monte della volontà del singolo, la conoscenza di ciò che accade ai nostri dati e, soprattutto, di ciò che potrà accadere. Il secondo chiama in causa la diversa percezione che abbiamo, da un lato, del rapporto con i nostri dati personali (un terreno sul quale siamo spesso attenti e sospettosi) e, dall’altro, della rilevanza della raccolta e uso da parte di terzi offline e online (aspetto cui invece non prestiamo molta considerazione). Il terzo abbraccia la consapevolezza della differenza tra dati personali e privacy, concetto quest’ultimo molto più ampio che comprende anche il diritto di essere lasciati in pace, la confidenzialità delle nostre comunicazioni e relazioni, la possibilità di anonimato, e il diritto alla personalità delle proprie decisioni. Limitare il dibattito sulla privacy alla protezione dei dati, in buona sostanza, significa già sacrificare qualcosa di importante.