L’IMMAGINAZIONE, DONO PREZIOSO
Per molti genitori la gioia coincide con il successo sociale. Forse non è così I figli necessitano d’altro: diamo loro immaginazione per creare nuovi mondi
Per molti genitori la gioia coincide con il successo sociale, ma forse non è cosi. Ai figli servirebbe altro: diamo loro immaginazione per creare dei nuovi mondi.
I figli. Sembra proprio un argomento di moda. C’è chi di figli ne vuole, chi proprio non si sente di volerli, chi li prende se vengono, chi non li prende se vengono, chi li accetta e accetta di fare il genitore, chi dei figli si occupa poco e crede di fare il genitore solo procurando loro un tetto e un sostentamento.
Ma il problema, alla fine, se i figli ci sono, è come educarli. O meglio il problema è che i figli sono inseriti nella realtà e i genitori, in parte non ne sono coscienti e, non essendo coscienti dei pericoli che il vivere quotidiano dei figli comporta, trovano difficile aiutarli. Che fare? Cosa significa educare? Etimologicamente è ex ducere, tirare fuori, ma cosa se prima non ci si mette dentro? Bisogna essere severi o permissivi, autoritari o compagnoni?
Da parecchio tempo mi imbatto in notizie attraverso le quali si ipotizza e si disquisisce su come si dovrebbero educare i figli. Dare loro più autonomia, o visti i tempi bui, stare loro addosso come cozze. Accompagnarli a scuola fino ai 14 anni e via dicendo. Certo non è un periodo che brilla per notizie di una «buona educazione dei figli».
Gli esempi delle «male educazioni» sono davanti a noi, terrificanti, almeno così si sostiene.
Comunque consiglio caldamente di non affidare mai i propri figli a questi predicatori di catastrofi, e di cercare, nel proprio piccolo, di essere testimoni di una linea di condotta, una qualsiasi, ma con conseguenza e lealtà. Educarsi, prima di educare, se possibile, crescere con loro.
Certo «figli si nasce e genitori si diventa» con l’aiuto del Padreterno e di un po’ di fortuna, aggiungo io. I genitori, almeno a parole, a livello cosciente, desiderano soprattutto che i figli siano felici. Dovremo tornare in seguito sul concetto di felicità, perché è difficile prevedere che cosa occorra fare per preparare ai figli una vita felice, senza prima aver stabilito dove si nasconde ciò che chiamiamo felicità.
I genitori sanno, o credono di sapere, che la felicità sta in funzione al livello raggiunto nella scala della promozione sociale. Dunque il bambino dovrà entrare in lizza. Essere il primo. Quanto più alto sarà il grado di astrazione da lui raggiunto, quante più possibilità avrà di integrarsi nel processo di produzione, quanto più sarà in grado di accedere ai livelli di invenzione, controllo e gestione delle macchine, nella protezione, legale o armata della proprietà privata, tanto più godrà di una promozione sociale, una delle garanzie di felicità.
Certo, prima di tutto ci vuole la salute. Perciò per essere felici ci vuole igiene e sanità e anche questi valori si ottengono in un buon contesto sociale al quale, va da sè, si deve accedere.
Uno dei pensieri dominanti sarà quello che è difficile considerarsi con una certa tenerezza, se gli altri ci valutano attraverso il prisma deformante del successo.
Se invece i genitori pensano che la felicità sia una faccenda personale, che l’equilibrio biologico e psichico si raggiunga grazie a se stessi, magari con l’esempio di qualche testimone, saranno probabilmente considerati cattivi educatori dal contesto sociale, ma saranno considerati bravi genitori dai figli, purché questi ultimi non vengano risucchiati dal conformismo a tal punto da rimproverare ai genitori di non aver loro imposto «quelle» regole.
Ma perché mai i genitori dovrebbero essere i più adatti e i soli colpevoli di questa educazione? E gli altri?
Nel tipo di famiglia patriarcale, modello nel quale ancora viviamo, affetto e sicurezza derivano da un narcisismo paterno e materno, dal bisogno di eludere la morte attraverso la progenitura, dal bisogno di raggiungere attraverso i figli il successo che non si è ottenuto in prima persona. Aggiungo che la rivalsa contro il padre o la madre è la più facile delle rivalse, dato che il genitore o i genitori sono unici, rispetto alla collettività, dunque facilmente criticabili, colpibili o eliminabili. Cosa dovremo fare per non fare entrare i nostri figli in questi terrificanti schemi?
Cosa dovremo fare per non indurre i nostri figli alla fuga, prendendo la strada della droga o dell’alcool, o quella della nevrosi, o quella dell’aggressività collettiva o individuale?
Con un po’ di fortuna potremmo imboccare la strada della immaginazione creativa. Forse, prima di preparare i figli alla felicità dovremmo cercare, di non contribuire alla loro infelicità.
Forse dovremo cercare altre strade. Favorire la coscienza di se stesso e dei rapporti con gli altri sotto tutti gli aspetti, l’immaginazione per creare sempre nuovi mondi e nuovi rapporti che meglio si adattino allo sviluppo, all’evoluzione della biosfera e dell’ ecologia umana, mettendo in chiaro che i mezzi per raggiungere questi scopi non sono stati mai e, spero non saranno mai, codificati, che ci vuole di tutto un po’, un po’ di regole e un po’ di trasgressione, un po’ di mostri e di guerre stellari e un po’ di aiuto e lavoro e amore per il prossimo e fatica e fantasia, tanta fantasia.
Cecare di crescere con loro e mutare con loro. Farsi vedere come si è, fragili, insicuri, anche noi apprendisti della vita.
Difficile essere genitori ed educatori. Infondo figli si nasce ed è genitori che si diventa.
La difficile ricetta Nell’esistenza c’è bisogno di tutto: regole e trasgressione, amore per il prossimo e fantasia