Profughi e architetti aiutano Rosarno
Progetto regionale, sarà costruita una casa in legno. «Sosteniamo i braccianti»
Richiedenti asilo accolti in Trentino, un collettivo di bolzanini, designer e architetti: da questo incontro sta prendendo forma «Hospital(ity) school», una costruzione in moduli di legno che sarà installata nella tendopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro, dove lavorano migliaia di migranti braccianti in condizioni disumane. La struttura ospiterà anche un presidio sanitario.
BOLZANO La trama solidale che collega il Trentino – Alto Adige con la piana di Gioia Tauro porta il nome di «Hospital(ity) school», progetto a più mani con il quale una struttura modulare in legno di 35 metri quadri sta prendendo forma all’interno del polo di Meccatronica di Rovereto, grazie a una rete composta da volontari, designer, architetti e richiedenti asilo accolti a Trento e Rovereto. Dopo Natale, la costruzione sarà trasportata e assemblata nella tendopoli di San Ferdinando, dove accoglierà corsi di alfabetizzazione italiana per braccianti agricoli migranti tenuti da Sos Rosarno, che si occuperà anche del trasporto del fabbricato, uno spazio per l’assistenza legale gestito dalla Cgil e uno per l’ambulatorio medico curato da Medu: tutto questo per chi, in una situazione di sfruttamento e violazione sistematica dei diritti, lavora principalmente nella raccolta agrumicola. Basti pensare che da ottobre a marzo nella sola Rosarno lavorano circa 4000 braccianti, in condizioni igienico-sanitarie e di vita pessime: in tutta la piana di Gioia Tauro, secondo Medu, nel clou della stagione agricola si sfiorano le 15mila persone.
La genesi di «Hospital(ity) school», però, affonda le radici in un viaggio che Matteo De Checchi, insegnante, e Valentina Benvenuti compiono nel 2015: l’obiettivo è raccontare, attraverso un reportage, la vita nei ghetti del sud Italia, cercando di non piegare la narrazione alla sola questione caritatevole. Da quell’intenso percorso tra Puglia, Basilicata e Calabria, una volta rientrati a Bolzano prende forma un interrogativo: «Come potevamo mettere in connessione la città più ricca d’Italia con una delle aree più depresse d’Europa?». La risposta è la nascita del collettivo Mamadou e, soprattutto, l’impegno di De Checchi e altri volontari prima nel ghetto di Boreano e poi in quello di Rosarno. Corsi di alfabetizzare», zione, poi viaggi con medici e infermieri di Medu, che riescono a offrire assistenza sanitaria ai braccianti. Durante l’ultima puntata, nel gennaio scorso, c’è anche l’architetta Francesca Bonadiman, del collettivo di professionisti Area 527: ci si rende conto che manca un presidio fisso, uno spazio dove fare i corsi e fornire assistenza. Inizia a prendere forma il progetto, che si basa interamente su autofinanziamento e sponsorizzazioni, ed entra in gioco il gruppo «Brave new alps», associazione ope- rante in Trentino che si occupa di design sociale, ricerca su economie altre e beni comuni: «Creiamo spazi basati sulla socialità, sul mettere insieme diversi pezzi di cittadinanza per fare comunità. Matteo e Francesca ci hanno contattati perché sapevano che presso l’hotel Quercia, struttura di accoglienza a Rovereto, avevamo iniziato un progetto di falegnameria sociale. Uno spazio condiviso in cui sia i richiedenti asilo che gli abitanti di Rovereto potessero interagire attorno ad attività legate al fa- spiega Fabio Franz, tra i fondatori dell’associazione. «I macchinari ci erano stati donati da una ditta tedesca, mentre il legname da una austriaca». E anche per il progetto «Hospital(ity) school» la solidarietà non si è fatta attendere: cinque tonnellate di legname sono state donate da una ditta austriaca, la Mayr-Melnhof Holz, mentre il polo di Meccatronica di Trentino Sviluppo ha messo a disposizione gratuitamente uno spazio inutilizzato per alcuni mesi: un luogo che ora è stato trasformato in una falegnameria temporanea, dove sono stati portati i macchinari, il legname e dove dal giovedì alla domenica volontari, richiedenti asilo ospiti in trentino e tecnici si mettono al lavoro per costruire la casetta destinata alla tendopoli di Rosarno. Il tutto è stato reso possibile anche grazie ad una campagna di crowdfunding che ha visto oltre cento donatori e 6000 euro raccolti: «Abbiamo volontariamente rinunciato ai finanziamenti pubblici perché volevamo avere libertà di azione e provare a dare un significato diverso al progetto», sottolinea De Checchi. Attualmente, dunque, alla costruzione della casetta stanno lavorando alcuni richiedenti asilo accolti in trentino (3 ospiti del Quercia, 4 provenienti dalla residenza Fersina di Trento e 2 dal campo di Marco) e prevalentemente con già alle spalle esperienze di falegnameria. Poi ci sono diversi partecipanti roveretani, un elettricista e due falegnami, studenti e un collettivo di architetti marchigiani che nelle scorse settimane è venuto a dare una mano. Infine, anche il centro sociale Bruno, che ha fornito supporto in varie forme. «Il nostro obiettivo — spiega inoltre De Checchi — era anche quello di destrutturare un po’ l’idea attuale di accoglienza, per cui queste persone vengono “piazzate” in un centro in perenne attesa. Con questo progetto abbiamo voluto offrire non solo qualcosa ai migranti del ghetto ma anche, per i profughi che stanno contribuendo qui ai lavori di costruzione, dei percorsi diversi e nuove opportunità: fargli acquisire delle competenze attraverso un volontariato attivo».
«La scorsa settimana erano in diciotto a lavorare, ma l’invito resta aperto a chiunque abbia voglia di dare una mano anche in questa fase finale», aggiunge Franz. L’invito resta valido anche sul fronte della raccolta fondi: chiunque fosse interessato a una donazione può trovare maggiori riferimenti sulla pagina Facebook del Collettivo Mamadou. «Parte del legno è stata acquistata, e oltre alle spese vive per la costruzione ci piacerebbe poter raccogliere ulteriori fondi per dare una mano ai braccianti», afferma infine De Checchi.
La genesi L’idea è nata dal collettivo Mamadou, che da tempo opera nel ghetto della piana