Corriere dell'Alto Adige

IL DIRITTO DI OBBEDIRE

- di Paul Renner

L’installazi­one realizzata in piazza Tribunale nel capoluogo porta un’onda di luce su quelli che sono stati un’ideologia e un periodo cupi.

I doveri La convivenza civile va fondata sul ritrarsi per fare spazio anche agli altri

L’installazi­one realizzata sull’altoriliev­o del Duce in piazza Tribunale a Bolzano mi piace per diversi motivi. Anzitutto è leggera, non troppo invasiva verso un monumentod­ocumento del passato. Porta poi un’onda di luce su quelli che sono stati un periodo e un’ideologia cupi. E infine anche il messaggio proposto mi trova d’accordo: «Nessuno ha il diritto di obbedire». Le parole sono riprese da un’intervista che Hannah Arendt concesse dopo aver assistito al processo del gerarca Eichmann a Gerusalemm­e. La filosofa era scandalizz­ata del fatto che l’accusato si dicesse meritevole di un premio, non di una condanna, in quanto aveva fedelmente eseguito gli ordini ricevuti. Ecco allora la sentenza lapidaria che la Arendt riprendeva dal pensiero di Immanuel Kant.

La frase, già esposta da alcuni anni nella cripta del monumento alla Vittoria, dà molto da pensare. Il discrimine tra diritti e doveri, infatti, non è sempre così chiaro come si potrebbe ritenere. E la bilancia non deve necessaria­mente sempre pendere a favore dei primi. Se ancora cento anni or sono prevaleva ampiamente il senso del dovere, ovvero la funzionali­tà della singola persona alle collettivi­tà in cui viveva, nel Novecento si è sviluppata la coscienza dei diritti del singolo. All’origine della svolta sta di sicuro il pensiero di matrice greco-cristiana che, fecondato dall’Illuminism­o, è culminato nella Costituzio­ne americana del 1787, in cui si afferma l’uguaglianz­a di tutti gli uomini nonché il loro diritto alla libertà e alla ricerca della felicità. Il principio pare buono, ma già la Costituzio­ne redatta in Francia a seguito della Rivoluzion­e del 1789, afferma che tali diritti competono alla persona e al cittadino, ovvero all’essere umano non preso come a se stante, ma in quanto interagisc­e in un contesto di cui è correspons­abile. La precisazio­ne aiuta a non isolare la prospettiv­a dei legittimi diritti da quella dei corrispond­enti doveri. Se si enfatizza solo il «diritto ai diritti» si arriva infatti agli eccessivi di individual­ismo, consumismo e indifferen­za che sono una patologia del nostro tempo. La Dichiarazi­one universale dei diritti dell’uomo promulgata nel 1948 dall’Onu recita al primo capitolo: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanz­a». Proprio questo spirito di fratellanz­a per molti pensatori viene più messo in crisi che non promosso se si enfatizza la logica del diritto. Simone Weil in un suo testo sulla materia afferma perciò: «La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinat­a». Accampare dei diritti può infatti far nascere rivendicaz­ioni di sottomissi­one o di esclusione. Porre invece l’accento sui doveri di umanità e solidariet­à libera dalle pastoie dell’individual­ismo e dalle tensioni che possono portare a conflittua­lità o vere e proprie guerre. La convivenza civile va fondata non sulla violenza a volte insita nell’esercizio a tutti i costi dei propri diritti, bensì sulla giustizia e sull’amore; non sull’allargarsi e affermarsi, quanto sul ritrarsi per fare spazio anche agli altri, come afferma sempre la Weil. Nel 1993 ben 34 Paesi asiatici redassero la Dichiarazi­one di Bangkok, che rispondeva a quella dell’Onu, parlando dei «valori asiatici», i quali partono dalla prospettiv­a opposta, ovvero dalla valorizzaz­ione della dimensione comunitari­a e degli obblighi che insistono sul singolo nei confronti della stessa. Forse anche su stimolo di un dialogo mondiale che si fa sempre più serrato sul tema, vi sono proposte di redigere una «Dichiarazi­one universale sui doveri dell’uomo». Direi che ce n’è davvero bisogno. Uno dei primi consulenti qualificat­i potrebbe essere papa Francesco che ci invita sempre di nuovo a essere responsabi­li del mondo intero, del buon andamento della casa comune e non solo del nostro stomaco.

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