Malati psichici e disabili soppressi dai nazisti Una mostra all’ateneo
BOLZANO Uno sguardo al passato, come monito per il presente. «Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo»: è il titolo della mostra documentaria inaugurata all’Università di Bolzano. Un tema caldo ancora oggi, a oltre 80 anni di distanza: «La storia è sempre maestra — ha detto Andreas Conca, direttore del Servizio psichiatrico del comprensorio sanitario di Bolzano —, le persone identificate come “non rientranti della normalità” nel passato sono state discriminate o persino sterminate, ma grossi problemi sussistono ancora oggi. C’è bisogno di spazio e tempo per fugare tutte le ambiguità di fondo e lavorare sull’etica. Al giorno d’oggi rischiamo di diventare disumani come lo siamo stati una volta». Impegnativi i temi affrontati: dall’eugenetica all’eutanasia, dalle leggi razziali alla xenofobia, fino all’aborto.
A partire dal 1934, 400.000 cittadini tedeschi di entrambi i sessi, affetti da patologie mentali considerate ereditarie e incurabili, furono sterilizzati contro la loro volontà. Tra il 1939 e il 1945, più di 200.000 persone ricoverate in ospedali psichiatrici furono assassinate perché ritenute un inutile peso per la popolazione tedesca. Solo a partire dagli anni ’80 ebbe inizio l’elaborazione di quanto accaduto: nel 2010 la società tedesca di psichiatria, sotto la presidenza di Frank Schneider, riconobbe la responsabilità della psichiatria tedesca per i crimini commessi. Attraverso 50 pannelli contenenti biografie e immagini storiche, l’esposizione racconta la disumanità perpetrata nei confronti di malati psichici e disabili durante il nazismo e la conseguente omertà sull’accaduto nella Germania postbellica. Foto, disegni, documenti ufficiali e inediti esposti in Italia, evidenziano il meccanismo organizzativo che consentì i crimini: allo sguardo impassibile dei responsabili e dei loro complici, si contrappone quello umanissimo delle vittime. Focus però anche sull’Italia del ventennio fascista. La psichiatria italiana dell’epoca fu sempre contraria all’uccisione dei malati, ma fu l’unica società scientifica a legittimare le leggi razziali del 1938.