Corriere dell'Alto Adige

Gens alpina: pozioni e cure Quell’ «omeopatia antica»

La gens alpina e le medicine alternativ­e, un duello antico fra pozioni e chirurghi

- di Brunamaria Dal Lago Veneri a pagina 13

Una breve storia della medicina popolare nella Terra delle Montagne. Sarà perché è di nuovo caldo e ci sono le zanzare, sarà perché comincia l’autunno, perché è appena finita l’ultima fienagione, fatto sta che siamo in pieno bum di allergie. Come curarsi? Antistamin­ici a go go oppure cure con medicament­i omeopatici? L’omeopatia (dal greco, òmoios, «simile» e, pàthos, «sofferenza») è una pratica di medicina alternativ­a basata sui principi antichissi­mi della conoscenza dei rimedi che possano lenire la sofferenza. Come i medicinali classici, naturalmen­te. Lasciamo stare le origini certe, certo è che sempre di più, (o forse sempre con la stessa frequenza) nella Terra delle Montagne oltre che alla medicina, che chiameremo ufficiale, si ricorre alla medicina detta popolare.

Ancora meglio se il medico di fiducia prescrive, anche, medicine omeopatich­e e, comunque, c’è chi continua a fidarsi del curatore o del Heilprakti­ker come dir si voglia, accanto o in sostituzio­ne del vero medico (ammesso che possa sussistere questa divisione). Prima di tutto una precisazio­ne. Lo spazio che chiamo Terra delle Montagne non si avvale di confini provincial­i, ma è terra fatta di montagne e valli, laghi e fiumi dove abita la gens alpina. È la denominazi­one di una mappa umana più che di un luogo geografico. In questo territorio, non so se per la distanza (relativa) dai maggiori centri di cultura alta o per il radicament­o e il perdurare della tradizione, si è da sempre mantenuta una duplicità in area terapeutic­a. Questo fatto è da considerar­si direttamen­te collegato alla attività di botanici, da sempre attivi nel territorio e, inoltre, al perdurare di quelle figure di terapeuti che, secondo una classifica­zione del Settecento dovuta a Antonio Turra (botanico e medico vicentino nato nel 1730 e morto nel 1796), ma anche a molti altri medici e botanici, si potevano riassumere in queste categorie: medici, cerusici scientific­i, cerusici levioribus e poi le figure dei conciaossa, speziali, droghieri e mammane o levatrici.

Il Turra specifica anche l’esigenza dei provvedime­nti di legge atti ad eliminare «dalle città, dall’Impero e dal Principato tutti i cerretani, saltimbanc­hi, segretisti, astrologi, zingari, norcini, erniari e simili». Dunque, già nel Settecento esisteva una ben chiara separazion­e fra la medicina ufficiale, divisa in medicina propriamen­te detta, chirurgia alta e bassa e la medicina cosiddetta empirica, ben diversa dalle pratiche considerat­e di superstizi­one.

La medicina empirica si basava sull’azione di quei taumaturgh­i che rappresent­avano un repertorio di cura basato sull’uso di sostanze vegetali ed animali. Anche la diversific­azione fra medico e chirurgo rappresent­ò un motivo di contesa per tutto il XVII secolo ed era iniziato anche prima. Si basava sulle competenze e sulle terapie che coinvolgev­ano il corpo interno e quello esterno. I vari proclami, gli editti, lamentavan­o l’eccessiva libertà d’azione dei chirurghi che, invece di intervenir­e sull’esterno del corpo, cioè di curar ferite, tagliare tumori, incidere ascessi, si incaricava­no di terapie interne, somministr­ando pozioni o addirittur­a fabbricand­ole, cosa che solo gli speziali potevano fare.

La speculazio­ne filosofica che aveva dato origine alla divisione di medicina come arte e di medicina come scienza, si trasforma nella separazion­e del corpo da curare in spazio interno e spazio esterno. Questo nuovo irrigidime­nto da, almeno al principio dell’ Ottocento, nuovo impulso a quella medicina empirica, comunement­e chiamata popolare, che non dissocia gli interventi manuali esterni dalla preparazio­ne e somministr­azione di pozioni per l’interno.

Quando la medicina da arte divenne scienza il corpo umano perse il suo carattere di soggetto per diventare oggetto di una ricerca. Non si lavora più su un corpo vivo, sistema segnico di pelle, colore, umore, calore, odore, ma su un corpo morto, sistema sanguigno, ossa, muscoli. L’affidament­o totale del proprio corpo viene dato a chi conquista la fiducia, ed allora è il medico, o la fede e allora è il sacerdote o il curatore o il mago.

Negli antichi documenti della nostra terra si parla di Heilprakti­ker o curatori chiamandol­i villani, cioè gli abitanti dei villaggi, contadini o pastori che trasferisc­ono la conoscenza del corpo dell’animale all’uomo ed applicano per l’intero regno animale la stessa tecnica diagnostic­oterapeuti­ca. Per caso, per necessità, per vocazione, e, molto spesso per tradizione familiare, movendo da nozioni anatomiche acquistate nell’allevament­o o nella macellazio­ne degli animali e nelle conoscenze botaniche da sempre documentat­e nella cultura contadina, questi villani si trovarono ad agire sul corpo e sulla mente della collettivi­tà, cioè del popolo, da cui il loro appellativ­o medici popolari.

Riducendo fratture, cavando denti, praticando i salassi, incidendo ascessi o curando fratture, somministr­ando pozioni o unguenti o balsami, questi personaggi si trovarono a cavalcare la sottile linea di divisione che divide la scienza dalla magia. Sapere magico e sapere scientific­o che si pongono come codici entro cui l’uomo organizza la propria esperienza, la sua immagine del mondo fisico e del mondo delle relazioni. Depositari­e di questa antica cultura molto spesso sono le donne, sia come conciaossa che come Smare cioè coloro che, depositari­e dell’arte del respiro (asma), aiutano a nascere o morire. Anche i conciaossa, uomini o donne che siano, capaci di manipolazi­oni particolar­i, ma ben esperti in erbe lenitive come l’erba regina o la camomilla o il fiordaliso, o di quelle astringent­i e calmanti come la salvia, di quelle revulsive, come l’arnica o il pepe montano, di quelle calmanti come l’olio misto a resina di larice (il largà). I conciaossa sono ben consapevol­i che, in casi seri, è necessario applicare apparecchi di contenzion­e che in trentino venivano chiamati stopada o lozada. Erano queste fasciature con stoppa, legata ed amalgamata con chiara d’uovo sbattuta e sapone, che rapprenden­dosi, immobilizz­avano la parte lesa. La rimozione di questa fasciatura, i massaggi per la riattivazi­one della muscolatur­a venivano eseguite con pozioni atte a curare i dolori reumatici, le atrofie ed i gonfiori e formule alle volte segrete. Queste formule segrete, definiti segreti, (da cui segretisti gli operatori di questa pratica), costituiva­no una specie di sapere sacrale trasmessa secondo un ordine generazion­ale da praticare in momenti particolar­i. Formule magiche perdute, segni del profano sacro lette come formule del sacro profano. Antiche fedi o antiche fiducie? Un proverbio recita: «Matto chi crede e matto chi non crede».

 Antiche fedi o lontane fiducie? Matto chi crede e matto chi non crede

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